Alessandro Barbano, La gogna: intrighi tra politica, magistratura e giornalismo

Tutti gli intrighi che ruotano intorno alla famigerata cena romana all'hotel Champagne

Alessandro Barbano
Alessandro Barbano
di Massimo Adinolfi
Mercoledì 6 Dicembre 2023, 07:00 - Ultimo agg. 7 Dicembre, 07:31
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Esiste, addirittura, una pinocchiologia, cioè una amplissima tradizione di studi e ricerche critiche sulla storia di Pinocchio, e nelle sue pieghe è forse possibile trovare, come sosteneva Prezzolini giusto cent'anni fa, qualcosa dell'Italia e del costume nazionale.

Non credo sia un riferimento peregrino. Anzitutto per la forma. Se uno guarda i titoli dei capitoli dell'ultimo libro di Alessandro Barbano, La gogna. Hotel Champagne. La notte della giustizia italiana, ci trova quella maniera discorsiva con cui Collodi annunciava, nei suoi capitoletti, le avventure (e le disavventure, soprattutto) del burattino più famoso al mondo. Ad esempio, primo capitolo: «Dove finisce un'amicizia e inizia un mistero», scrive Barbano; secondo capitolo: «Dove una manina spegne la microspia nel telefono dell'indagato». E così via: siamo quasi dalle parti del racconto, del mistery, della favola nera. In cui non si finisce fritti in padella, come capita a Pinocchio, ma ci si districa fra indagini e intercettazioni più o meno pilotate, e si va dalle congiure alla guerra per bande, dalle trattative alle vendette personali, dagli insulti ai silenzi, dai favori ai ricatti, in una sarabanda di azioni e parole tutte, o quasi, assai poco commendevoli.

C'è tutto questo, e molto altro ancora negli intrighi che ruotano intorno alla famigerata cena romana all'hotel Champagne di Luca Palamara con Cosimo Ferri, Luca Lotti e cinque componenti del Csm, avente ad oggetto la nomina del nuovo procuratore di Roma (e, più complessivamente, il Risiko delle nomine nelle Procure italiane).

Barbano ne offre una ricostruzione documentatissima, per mostrarne i risvolti e tirare le somme: non basta fare di Palamara il reprobo, la mela marcia, il capro espiatorio; è una questione di sistema, come lo stesso magistrato, non a torto, ha sostenuto. In seguito, Palamara è stato espulso dalla magistratura, ma a distanza di anni è veramente arduo affermare che qualcosa sia cambiato da allora. Nonostante lo scandalo, nonostante il clamore, nonostante i procedimenti giudiziari e l'immancabile retorica delle riforme. 

In che libro siamo, dunque? In un saggio sulla giustizia italiana, senza dubbio. Sul mercanteggiamento che accompagna ogni tornata di nomine in seno al Csm e sul dilagante correntismo della magistratura. Nel fuoco di una denuncia civile, e nel puntuale racconto dell'uso distorto e invasivo delle intercettazioni, piegate spesso e volentieri a fini di lotta politica e di potere. Ma siamo anche nel bel mezzo di un racconto stupefacente, in cui sfilano personaggi da favola l'Inquisitore, il Ribelle, I Congiurati, il Camaleonte, e così via , dopo il quale però riesce veramente difficile pronunciare la frase di rito che accompagna l'apertura di ogni inchiesta (e dovrebbe rincuorare chiunque incappi nelle maglie della giustizia): c'è da avere fiducia nell'azione dei magistrati.

No, leggendo queste pagine la fiducia si incrina, se non la si perde del tutto. Perché è come lasciare la sala del ristorante e visitare le cucine, per vedere come vanno le cose tra i fornelli: dopo, riesce difficile sedersi serenamente ai tavoli e mangiare come prima.

Dopo questo libro non si riesce a rimanere indifferenti neppure di fronte al riaprirsi di un discorso sulla riforma della giustizia, giudicata va da sé sempre necessaria e indifferibile, ma che in realtà rimane sempre ferma al palo. Come accade anche in queste settimane: si denunciano complotti, si paventano reazioni, si sollevano polveroni, si formano i tradizionali partiti dei garantisti e dei giustizialisti e piovono i più alti moniti istituzionali, ma è un teatro di fantasmi in cui, in realtà, non accade veramente mai nulla.

Ora, per chi fosse interessato alla ricostruzione particolareggiata della vicenda dell'hotel Champagne, ai vincitori e agli sconfitti, il libro di Barbano è una miniera, e permette di farsi un'idea abbastanza precisa di quali e quanti colpi siano stati sferrati sotto la cintola, quando si è trattato di individuare il successore di Pignatone alla procura di Roma: la candidatura di Francesco Viola, forte di un accordo che spostava a destra gli equilibri politici della magistratura associata, finisce con l'essere travolta dai maneggi di Palamara, e a insediarsi è Lo Voi, candidato delle sinistre. Per chi invece volesse trarre da questa brutta storia la morale, come si fa con le favole, è presto detta: in Italia, il racconto pubblico segue tre registri principali, il giudiziario, il politico e il giornalistico. Secondo Barbano, gli ultimi due sono di fatto subalterni al primo: lo assecondano, lo amplificano, vi si adeguano, ben difficilmente lo contraddicono. Questo libro, invece, è una potente contraddizione. È come una birichinata di Pinocchio, una possibile via di fuga e una palese impertinenza. Sta al lettore giudicare se quel che serve all'Italia è tenersi la conclusione accomodante e oleografica di Collodi, o preferirgli quella di Giorgio Manganelli, nel suo Pinocchio parallelo, per «prepararsi ad un nuovo itinerario, ad una nuova notte di transito». Francamente, sarebbe ora. 

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