Elena Ferrante, un fantasma planetario e milionario: se l'anonimato significa successo

Elena Ferrante, un fantasma planetario e milionario: se l'anonimato significa successo
di Fabrizio Coscia
Martedì 4 Ottobre 2016, 08:45 - Ultimo agg. 17:23
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Quattro milioni di copie vendute in 44 Paesi, di cui un milione in Italia, e un milione e mezzo solo negli Stati Uniti. Questi i numeri di Elena Ferrante, la scrittrice più cool degli ultimi anni, se è vero che Betty Halbreich, la personal shopper più celebre del mondo, ha dichiarato di recente che i libri della scrittrice napoletana sono «l'ultimo accessorio di moda a Manhattan». Numeri da bestseller per la tetralogia dell'Amica geniale anche in Germania, ai primi posti in classifica pure in Gran Bretagna, Danimarca, Norvegia, Svezia, Spagna, Francia e Olanda, ma vendite alte anche in India, Turchia e Cina. Secondo la società di monitoraggio inglese BookScan, i libri della Ferrante hanno venduto solo nel 2015 per un valore complessivo di un milione e 600mila sterline, circa due milioni e 200 mila euro, alzando del 1254 per cento rispetto all'anno precedente le vendite di Europa Editions (la casa editrice americana che pubblica la Ferrante, fondata nel 2005 da Sandro Ferri e Sandra Ozzola, gli stessi responsabili del marchio e/o).

Così, mentre montano le polemiche sull'inchiesta del «Sole 24 ore», che ha indagato sui compensi professionali e le visure catastali di Anita Raja, sospettata di essere la misteriosa scrittrice napoletana (l'editore ha definito a questo proposito «disgustoso» un giornalismo «che indaga nella privacy e tratta le scrittrici come camorriste»), ad emergere in maniera incontestabile è la realtà di un fenomeno letterario di dimensioni internazionali. Ci troviamo di fronte a cifre altissime per il mercato editoriale italiano, che tra l'altro, sia detto en passant, giustificherebbero gli acquisti immobiliari dei coniugi Starnone rilevati dall'inchiesta giornalistica, se consideriamo che la media dei diritti d'autore corrisponde generalmente all'8 per cento (ma per un'autrice di successo come la Ferrante può arrivare anche al 10 o poco più). Cifre che ci danno anche la misura di un successo planetario per il quale l'ingrediente dell'anonimato - che piaccia o meno - è stato parte integrante.

Non è un caso, infatti, che il profilo della scrittrice pubblicato su T, il magazine più trendy del «New York Times», a pochi giorni dalla pubblicazione del terzo volume della serie, Storie di chi fugge e di chi resta, si intitolava proprio: «Who is Elena Ferrante?». E due anni prima, il «New Yorker» aveva dedicato alla scrittrice un ampio ritratto critico di James Wood, il quale si era soffermato a lungo sul tema dell'anonimato, scrivendo che Thomas Pynchon, a paragone dell'autrice de L'amore molesto, era un «maniaco della pubblicità». Abilissima strategia di marketing che ha dato i suoi frutti, unita a una scrittura molto diversa dalla iniziale trilogia del «mal d'amore»: meno cerebrale, meno raffinata, con uno storytelling più fluido e coinvolgente, una capacità affabulatrice più seduttiva, al punto da far sospettare che ci fosse dietro una mano diversa da quella dei primi libri. Il resto lo ha fatto un lungo ed efficace passaparola, soprattutto sui social, sotto il segno dell'ashtag #ferrante fever, con il risultato di una vera e propria conquista dell'America: da allora non si contano le dichiarazioni di stima e le schiere di fan tra le celebrities, da Michelle Obama a Hillary Clinton, da Nicole Kidman a Ferzan Ozpetek, dal premio Pulitzer Elizabeth Strout allo scrittore indiano Amitav Gosh, fino alla bestseller Jojo Moyes.

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