Mistero Elena Ferrante, la pista dei soldi porta ad Anita Raja

Mistero Elena Ferrante, la pista dei soldi porta ad Anita Raja
di Fabrizio Coscia
Lunedì 3 Ottobre 2016, 08:37 - Ultimo agg. 12:58
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Who is Elena Ferrante? Così titolava, un paio di anni fa, il magazine del «New York Times», mentre scoppiava negli Stati Uniti la ferrantemania, dopo la traduzione inglese della tetralogia dell'«Amica geniale»: una, nessuna e centomila, forse.

Anzi, no: una e basta, perché finalmente conosciamo il vero nome e cognome della misteriosa scrittrice napoletana. Il segreto più gossiparo e meno letterario degli ultimi anni, udite udite, è stato finalmente svelato. Secondo l'inchiesta apparsa ieri sul domenicale del «Sole24 ore», infatti, Elena Ferrante è Anita Raja, traduttrice, germanista e moglie dello scrittore Domenico Starnone. A questo nome si è giunti dopo mesi di indagini patrimoniali condotte dal «Sole» insieme con la testata tedesca «Faz», la «New York Review of Books» e i giornalisti francesi di «Mediapart».

Questo team di giornalisti internazionali ha controllato dettagliatamente (con un accanimento degno forse di miglior causa) i dati degli introiti pagati dalla casa editrice e/o alla Raja, aumentati del 150 per cento in pochissimi anni, non giustificabili con il suo ruolo di semplice traduttrice freelance e invece perfettamente coerenti con l'andamento progressivo dei diritti d'autore dei libri della Ferrante. Ulteriori riscontri sono venuti dagli acquisti immobiliari della stessa Raja e del marito Starnone - due case di pregio a Roma, una nella campagna toscana - anch'essi posti in relazione alla crescita dei proventi dei libri. Insomma il segreto di Elena Ferrante si nascondeva, più che negli indizi intertestuali, tra i movimenti bancari e le visure catastali, anche se più che del segreto della Ferrante, dovremmo parlare più banalmente del segreto di Pulcinella: il nome di Anita Raja associato alla misteriosa scrittrice napoletana circolava infatti già da tempo e pochi tra gli addetti ai lavori avevano ancora qualche dubbio.

Certo, da quando era apparso per la prima volta il nome della scrittrice sulla scena letteraria, nel 1992, con il romanzo-rivelazione «L'amore molesto» (da cui Mario Martone trasse l'omonimo film) l'identità segreta è stata attribuita anche ad altri nomi, in una scatenata caccia all'autore: oltre la Raja (all'epoca direttrice della collana di e/o che ha pubblicato «L'amore molesto»), Fabrizia Ramondino e Goffredo Fofi, lo stesso editore Sandro Ferri e Domenico Starnone, la cui opera è stata perfino comparata a quella della Ferrante con un programma informatico messo a punto alla Sapienza di Roma, per individuare le sequenze linguistiche di un testo, ricavandone un comune «albero filogenetico». Ultima attribuzione in ordine di tempo, lo scorso marzo, Marcella Marmo, docente di Storia contemporanea all'università di Napoli Federico II, ipotesi quest'ultima sostenuta con gran convinzione dallo scrittore e dantista Marco Santagata. Ma alla fine il «follow the money» dell'indagine giornalistica ha portato a un solo, inequivocabile nome.

Chi è, dunque, Anita Raja? I dati biografici non coincidono in nulla - a parte la comune origine napoletana - con quelli che la Ferrante ha rivelato di sé nello scritto autobiografico «La Frantumaglia» e nelle rare interviste concesse. Se la Ferrante infatti ha dichiarato di essere figlia di una sarta che parlava in dialetto e di esser cresciuta in una casa con pochissimi libri, Raja invece è figlia di un magistrato napoletano, Renato, e di Golda Frieda Petzenbaum, un'insegnante di tedesco ebrea nata in Germania ma di origine polacca, sopravvissuta alla Shoah.
Nemmeno le date di nascita coincidono: 1943 Elena Ferrante, 1953 Anita Raja. Dai tre anni in poi, quest'ultima ha vissuto a Roma, dove si è laureata in Lettere e ha lavorato per molti anni come direttrice della Biblioteca Europea del Goethe-Institut. Ha tradotto quasi tutta l'opera di Christa Wolf per e/o, «Il processo» di Kafka per Feltrinelli, e testi di molti altri autori tedeschi. Ora che le carte sono state scoperte, però, resterebbe da capire il senso dell'intera operazione: se l'anonimato, cioè, sia stato davvero «una testimonianza contro la auto-promozione ossessivamente imposta dai media», come la stessa Ferrante ha dichiarato in un'intervista al «Paris Review», o un'astuta strategia di marketing messa in atto dal suo editore. 

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