Bus precipitato sull'A16, la difesa in aula: «Castellucci non è responsabile»

Il processo d'appello è nato dalla scelta della Procura di Avellino di impugnare le assoluzioni disposte in primo grado nei confronti dei vertici di Aspi

Giovanni Castellucci
Giovanni Castellucci
di Viviana Lanza
Venerdì 30 Giugno 2023, 07:00 - Ultimo agg. 18:00
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«La visibilità e il ruolo dell'ingegner Castellucci sembrerebbero strumentalmente utilizzati in questa tragica vicenda. Più che deliberare di spendere i 138 milioni richiesti dalle strutture tecniche per la riqualifica delle barriere di tutto il tratto autostradale in cui vi era il viadotto Acqualonga non poteva né doveva fare», ha affermato Alfonso Furgiuele, difensore dell'ex ad di Autostrade, Giovanni Castellucci, al termine dell'arringa al processo d'appello sulla tragedia del 28 luglio 2013 quando un bus turistico perse i freni e precipitò dal viadotto dell'A16, a Monteforte Irpino, provocando 40 vittime. Il processo d'appello è nato dalla scelta della Procura di Avellino di impugnare le assoluzioni disposte in primo grado nei confronti dei vertici di Aspi con tanto di rinnovazione del dibattimento per riascoltare alcuni testimoni tra cui il progettista che decise di non sostituire le barriere sul viadotto di Acqualonga ritenendole idonee. 

«Quelle barriere erano del tipo H4, indicate tra le più performanti anche dai consulenti del pm e dal perito nominato dal giudice», ha precisato Furgiuele nella sua arringa in difesa di Castellucci.

Aula 312, Palazzo di giustizia di Napoli. Dinanzi ai giudici della seconda sezione della Corte d'appello l'udienza di ieri è dedicata alla difesa di uno degli imputati principali del processo, l'ex ad Castellucci. La Procura è tornata a chiederne la condanna ipotizzando un nesso di causalità tra l'incidente e le scelte all'epoca adottate dai vertici della società. Tutto ruota attorno a una delibera del 2008 con la quale furono stanziati milioni di euro per interventi sulle barriere in vari tratti autostradali. In oltre due ore di arringa, l'avvocato Furgiuele ha spiegato perché quel nesso di causalità non esiste e perché l'assoluzione di Castellucci va confermata. Le argomentazioni difensive poggiano su una duplice base, in diritto e in fatto. Partiamo dal diritto: l'impugnazione da parte del pm dovrebbe contenere una motivazione rafforzata basata su una ricostruzione che valga «oltre ogni ragionevole dubbio» e non, come segnalato dalla difesa, «una ricostruzione alternativa basata su una semplice reinterpretazione». «Si può ritenere rafforzata una motivazione che si basa su insinuazioni rispetto a dichiarazioni testimoniali che sono ormai prove?», ha evidenziato il professor Furgiuele spiegando nel dettaglio le ragioni per cui la risposta è un no. «Mi ha colpito - ha aggiunto - che nell'atto di impugnazione risulti che Castellucci si sia sottratto all'interrogatorio a cui era stato invitato dal pm. Ma Castellucci non ha mai ricevuto quell'invito, forse il pm usa l'istituto dell'interrogatorio in sostituzione dell'esame dibattimentale dell'imputato a cui l'ingegnere ha all'epoca rinunciato esercitando un diritto di difesa per motivi non censurabili. Appare singolare, quindi - ha chiosato - che il pm poggi le sue motivazioni su una scelta legittima dell'imputato». 

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E non è tutto: lo scontro tra accusa e difesa riguarda anche i capi di imputazione. «Il pm è stato rigoroso nell'operare una distinzione dei ruoli», ha sottolineato il professor Furgiuele spiegando che ai vertici dell'amministrazione centrale è contestata l'omessa riqualificazione, in base al piano del 2008, dell'intero viadotto, mentre ai dirigenti del sesto tronco e delle relative articolazioni l'omessa manutenzione. «Ma riqualificazione e manutenzione non sono la stessa cosa - ha precisato nel corso dell'arringa - si tratta di due concetti diversi a cui corrispondono due contestazioni autonome e indipendenti. Non si può adesso girare le carte con facilità per riconvertire l'accusa così da trasformare la condotta omissiva in una condotta di esclusione». Secondo la difesa, infatti, nel 2008 il CdA decise di sostituire le barriere di primo impianto ma non impedì la sostituzione anche di quelle di seconda generazione. «Si esclude quindi ogni nesso causale con l'incidente». 

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