Un salasso necessario, sperando sia anche sufficiente. Gesesa è costretta a ritoccare al rialzo gli importi per l'individuazione del laboratorio cui affidare le indagini sulla potabilità dell'acqua erogata in città e negli altri 21 comuni serviti. Una correzione di non poco conto: quasi raddoppiato l'esborso che dovrà accollarsi la società pur di provare a intercettare sul mercato l'operatore in grado di assicurare i rigidi standard formali pretesi dalla Asl. Ultimo atto di una querelle che si trascina da mesi, su un terreno minato come i test di qualità dell'acqua che ha già fatto non poco rumore.
Gesesa lancia un nuovo sos al mercato per individuare un centro di analisi accreditato per tutti gli 100 cento parametri richiesti. Da mercoledì è in Gazzetta ufficiale il bando di gara per il servizio «analisi organolettiche, fisiche, chimico-fisiche, chimiche e microbiologiche nel campo delle acque destinate al consumo umano, sorgive, superficiali, sotterranee». L'importo a base di gara lievita a 188mila euro contro i 103mila precedenti, sempre per 12 mesi.
Esito prevedibile del resto, alla luce delle prescrizioni restrittive poste dalla Asl. E a nulla è valso anche il tentativo di Gesesa di far prevalere una interpretazione meno rigida della norma, il decreto 18/2023 che ha soppiantato la vecchia "bibbia" 31/2001 nel campo dei controlli. Con nota del 12 maggio, l'amministratore delegato Salvatore Rubbo aveva chiesto all'Asl «al fine di indire una nuova gara, di indicare, ai sensi dell'art. 12 comma 4 lettera a del decreto 18/2023, quali parametri devono essere effettivamente analizzati in relazione alle "zone di fornitura idro-potabile" (articolo 2) gestite da Gesesa». Si chiedeve inoltre «di confermare se i parametri devono essere tutti accreditati, unitamente ai vari campionamenti». Ma da via Mascellaro arrivava un secco no all'allentamento: «La norma è molto chiara e non si può far altro che applicarla in ogni sua parte» commentava il responsabile del dipartimento Prevenzione dell'Asl Tommaso Zerella in relazione alla risposta fornita il 26 maggio. Lo stesso Zerella aveva dato il la alla vicenda con la diffida del 23 febbraio, che aveva imposto a Gesesa l'interruzione immediata del rapporto con il laboratorio Artea di Ponte, non accreditato per tutti i parametri. Condizione, fanno notare in Gesesa, che non è in grado di vantare nessuno dei laboratori di cui si avvalgono gli altri gestori operanti sul territorio, e non solo nel Sannio. Tesi che appare confermata da una verifica sulla piattaforma Accredia.
Pesa sulla vicenda, evidentemente, anche quanto verificatosi lo scorso novembre con il clamoroso deflagrare delle polemiche tra il Comune e il binomio Asl-Arpac in merito al picco improvviso di tetracloroetilene riscontrato presso i pozzi di Pezzapiana. Valori vertiginosi fino a 250 microgrammi contro un massimo consentito di 10 microgrammi, fecero scattare lo stop dell'uso potabile dell'acqua servita da Gesesa in mezza città. Ma soprattutto diedero adito a una nevrosi di massa che non risparmiò neanche le aree non raggiunte dall'acqua dei pozzi comunali. Allarme che rientrò nel rapido volgere di qualche ora, annullando i divieti ma non le polemiche. Furente il primo cittadino Clemente Mastella che non nascose forti perplessità nei confronti di accertamenti totalmente disallineati dai valori storici, da quelli immediatamente seguenti e dai campioni della stessa acqua prelevata ai fontanini. Un giallo tuttora irrisolto, anche se è conclamata la contaminazione ambientale dell'area a ridosso della stazione centrale da cui si attingono gli emungimenti.