Binario d'oro, le prime otto condanne: sì al risarcimento per Viminale e Rfi

Il boss Dante Apicella condannato a 16 anni e 5 mesi

Al termine il rito abbreviato per il processo Binario d'oro
Al termine il rito abbreviato per il processo Binario d'oro
Domenica 29 Ottobre 2023, 10:05 - Ultimo agg. 18:57
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La condanna più pesante è stata inflitta a Dante Apicella, camorrista di vecchia data. Lui dovrà scontare oltre 16 anni di reclusione. Ma il punto a favore dello Stato è arrivato dalla sentenza che ammette il risarcimento - che verrà quantificato in sede civile - nei confronti di Rete ferroviaria italiana, il ministero dell'Interno e degli Esteri. Complessivamente, però, con la sentenza del gip Rosaria Maria Aufieri (in abbreviato) del tribunale di Napoli, sono stati inflitti 38 anni di carcere, un'assoluzione e una multa di 5mila euro a carico di nove persone coinvolte nell'ambito dell'inchiesta sugli appalti della rete ferroviaria italiana affidati a ditte in odore di camorra. Il "binario d'oro" era un'inchiesta che dimostrava come le mani della camorra potevano arrivare ovunque.

E così, ben 16 anni e 5 mesi li dovrà trascorrere in cella Dante Apicella: per lui è stato applicato anche il regime della vigilanza in carcere e l'interdizione perpetua dei pubblici uffici. Il giudice ha inflitto anche 8 anni e 10 mesi di reclusione ad Antonio Magliulo (imprenditore accusato di cambiare assegni al clan), mentre 4 anni di reclusione e una multa pari a 5mila euro sono stati inflitti ad Augusto Gagliardo; 3anni e 6 mesi di reclusione per Giulio Del Vasto; 2 anni e 8 mesi per Guido Giardino; 1 anno e 10 mesi per Antonio D'Ambrosca, Pasquale D'Ambrosca e Pietro Andreozzi. Assolto Luigi Russo. Nel capo di imputazione, fra le altre cose, si ipotizzava che Luigi Schiavone - amministratore e socio di aziende gestite dal clan attraverso Dante Apicella - avrebbe fornito appoggio alla camorra dei Casalesi grazie all'intestazione di alcuni terreni riferibili a Dante Apicella.

In realtà, gli altri 59 indagati hanno scelto il rito ordinario.

Il processo è in corso a Santa Maria Capua Vetere. Le accuse - per loro - a vario titolo- vanno dall'associazione a delinquere di tipo camorristico, all'estorsione, l'intestazione fittizia di beni, la turbativa d'asta, corruzione, riciclaggio con l'aggravante della metodologia mafiosa ma anche rivelazione di atti coperti dal segreto delle indagini. Quando scoppiò l'inchiesta, i nomi che emersero fra tutti furono quelli di Nicola e Vincenzo Schiavone. Quest'ultimo - per la Procura Antimafia - avrebbe costretto Giovanni F. e il figlio Vincenzo di una impresa di Sparanise, ad acquistare la società "Saret appalto reti elettriche e telefoniche" con sede a Quarto. Pena, la revoca di altri subappalti.

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Inoltre, Vincenzo Schiavone e Claudio Puocci avrebbero chiesto denaro alle ditte di Sparanise che stavano eseguendo dei lavori in subappalto per dei cablaggi elettrici per la Ansaldo Energia, presso la centrale elettrica. Stando alla ricostruzione degli inquirenti, Nicola Schiavone (padrino di battesimo del figlio di Sandokan, Nicola Schiavone oggi collaboratore di giustizia) avrebbe fatto affari grazie a un patto stretto con le famiglie mafiose. «Ha usato il lievito madre» di Sandokan, disse in una intercettazione la moglie del boss Francesco, Giuseppina Nappa. Schiavone sarebbe entrato in contatto con Rfi a Roma dove avrebbero ottenuto commesse in cambio di mazzette e regali. I soldi sarebbero stati ripuliti con il benestare di Dante Apicella.

 

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