Michele Zagaria, poliziotto condannato a 6 anni: il giallo della pendrive sparita dal covo

Era stato accusato di aver venduto la penna Usb a forma di cuore con i nomi degli imprenditori

Vesevo durante la cattura di Zagaria
Vesevo durante la cattura di Zagaria
Marilu Mustodi Marilù Musto
Martedì 27 Giugno 2023, 17:23 - Ultimo agg. 28 Giugno, 07:54
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È stato condannato a 6 anni e due mesi di carcere Oscar Vesevo, il poliziotto accusato di aver fatto sparire una pendrive dal covo di via Mascagni a Casapesenna dopo l’arresto del capoclan dei Casalesi, Michele Zagaria. Vesevo era accusato di corruzione, ma è stato condannato solo per i reati di peculato e truffe, mentre è stato assolto per l'accesso abusivo al sistema informatico delle forze dell’ordine. Per tutti i reati contestati è caduta l’aggravante mafiosa. Il pubblico ministero Maurizio Giordano aveva chiesto per lui la condanna a sette anni di carcere.

Vesevo era difeso dall'avvocato Giovanni Cantelli.

Se i misteri che ruotano intorno alla cattura di Michele Zagaria si infittiscono con il passare degli anni, da oggi si conosce anche la sentenza che condanna l'agente accusato di aver fatto sparire elementi preziosi dal covo. In realtà, fra le pieghe dell'inchiesta che portò alla cattura del boss, venne fuori nel 2017 anche il costo dell’operazione che portò a stanare il capo dei capi dei Casalesi. Quarantamila euro furono intascati da un informatore. E 10mila euro furono concessi a una donna. Questa fu l'escalation della presunta "compravendita" del boss, latitante nel 2011 da oltre 16 anni.  Con 40 mila euro fu, certamente, ricompensato, 14 giorni dopo lo storico arresto del 7 dicembre del 2011, il confidente della polizia che aiutò gli agenti della Mobile di Napoli a mettere le mani sulla ex primula rossa. Ma i segreti legati alla cattura non finiscono qui. Il boss Zagaria, nel 2015, finisce di nuovo sulle prime pagine per la spy story della pen drive sparita dal covo.  Per la Dda la pen drive conteneva i segreti del capoclan e si trovava ancora nel covo mentre la polizia setacciava il bunker di via Mascagni a Casapesenna. 

Zagaria arrivò in carcere a Parma con 1400 euro in tasca e mentre superava la porta della sua cella, qualcuno - probabilmente Vesevo - prendeva con sè la pen-drive, stando ai giudici di Napoli nord. Lo avevano scritto anche i giudici del Riesame che rigettarono per la seconda volta l’arresto del poliziotto Oscar Vesevo, mai finito in carcere: «Se è vero che non vi è prova che quest’ultimo abbia preso la pennetta, è anche vero - scrissero i giudici - che il boss poteva contare su poliziotti infedeli». I magistrati definirono Vesevo «contiguo al clan». Dunque, la fedeltà di «divise sporche» e il tradimento di un uomo di fiducia avrebbero portato Zagaria nella tana della polizia. Non senza pagare.

 

Andò così: un uomo vicino al capo dei capi, incontrato «per caso» dagli agenti al centro commerciale Jambo di Trentola - si legge nell’informativa del 22 novembre 2011 - imbeccò la polizia e fu ricompensato con 40mila euro, in quanto fonte confidenziale. A testimoniarlo c’era la sua firma su un atto investigativo depositato ai giudici del tribunale di Napoli nord. Certo, il «pagamento» avvenne non prima di aver incontrato Oscar Vesevo a Cassino e a San Vittore, per confermare le informazioni rilasciate al Jambo dall'informatore. Questo è stato uno dei rarissimi casi in cui negli atti di un processo, il processo Medea, confluirono carte riservate, documenti che alzarono un velo sul misterioso mondo dei confidenti, le fonti della polizia giudiziaria. Fra gli atti spuntò la ricevuta di pagamento dell’uomo-chiave della cattura di Zagaria, ma anche quella di una donna, che pure fu ricompensata con 10mila euro per aver dato un importante contributo alle ricerche del camorrista. All'epoca spuntò anche il nome di un professionista che avrebbe fatto da confidente per la polizia. Lo raccontò il pentito Luigi Cassandra, titolare del complesso Night and Day ed ex assessore del comune di Trentola Ducenta. Il caso delle «talpe» interne alla polizia aprì uno scenario importante. A spiegarlo, nelle 73 pagine del rigetto della misura cautelare per l’agente Vesevo, furono i magistrati del Riesame, presidente Nicola Quatrano, che inserirono agli atti le confessioni di Cassandra. Da allora, sono trascorsi dieci anni. Fino alla condanna di oggi.