Omicidio Ruggiero, parla il killer:
«Ecco i nomi dei miei complici»

Omicidio Ruggiero, parla il killer: «Ecco i nomi dei miei complici»
di Mary Liguori
Mercoledì 30 Maggio 2018, 07:10 - Ultimo agg. 09:58
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«Sono pronto a dire i nomi dei miei complici». Da Matera la stoccata di Ciro Guarente a sette giorni all’avviso di chiusura delle indagini che mette il punto a quanto fino a ora si sa dell’efferato delitto di Vincenzo Ruggiero, assassinato e fatto a pezzi per una storia di gelosie e ricatti. A un anno dal tremendo delitto e dall’arresto di Guarente prima, e del suo presunto armiere, poi,il pregiudicato Francesco De Turris di Ponticelli, spunta fuori una seconda arma. Un fucile a pallettoni che sarebbe stato usato per distruggere il cadavere della vittima, prima che Guarente - la tesi d’accusa - lo cospargesse di acido muriatico e cemento dentro la vasca dei liquami di un garage delle palazzine popolari di Ponticelli. Ma l’ex cuoco della Marina fece davvero tutto da solo? E quel fucile del quale si è appreso solo una settimana fa, quando la Procura di Napoli Nord ha chiuso le indagini, chi glielo fornì? Sono ancora troppe le domande per ritenere chiuso il caso. D’altronde la famiglia della vittima aspetta tutt’ora di poter celebrare il funerale di Vincenzo, ad oggi non autorizzato perché le autorità non sono ancora state in grado di ricomporre i resti del cadavere.

La difesa di Guarente intende far sì che l’indagato vuoti il sacco. E che faccia i nomi delle persone che lo aiutarono dal momento in cui, in casa della fidanzata di Guarente, Heven Grimaldi, una transessuale che si decise a denunciare Ciro solo molti giorni dopo aver segnalato la scomparsa di Vincenzo che ospitava in casa sua, ad Aversa, ingelosendo il compagno al punto da trasformarlo in un mostro. Ma forse, il mostro non è uno solo. E Guarente, dopo un anno di silenzio, potrebbe aver deciso di riferire ai magistrati i nomi di coloro che lo hanno aiutato quando ha pianificato il macabro delitto. Finora è stato zitto, spiegano fonti vicine all’ex militare, perché ha paura di ritorsioni sulla sua famiglia. Che vive a Ponticelli, a pochi passi dal garage dove i carabinieri ritrovarono il corpo martoriato di Vincenzo. Ma, alla vigilia di una richiesta di ergastolo, forse Guarente si è deciso a «collaborare». Il rischio di una sentenza al massimo della pena potrebbe indurlo, finalmente, a raccontare tutta la verità, senza omissioni, e a far saltare le coperture di chi lo aiutò a ritardare sia l’avvio delle indagini che il ritrovamento del cadavere. La richiesta di interrogatorio inoltrata nei giorni scorsi è al vaglio della Procura di Napoli Nord. Guarente potrebbe chiarire molti aspetti, a partire dalla testa di Vincenzo che non si è mai trovata e lui riferì, in prima battuta, di aver gettato in mare. E, ancora, l’ex militare, potrebbe fare i nomi di chi sapeva cosa stava per fare, di chi lo ha aiutato a cercare di far sparire il corpo del ventiseienne in un quartiere popoloso come Ponticelli, sotto un edificio in cui vivono decine di famiglie. Dove tutti, nei giorni drammatici che seguirono il ritrovamento, dissero di non essersi accorti di nulla. 
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