Davide Cerullo, Volti di Scampia: «I giusti di Gomorra non sono supereroi»

«C'è un calore nei condomini delle case popolari, anche nel dolore o nella rassegnazione, che se lo cogli sarà casa tua per sempre»

Davide Cerullo
Davide Cerullo
di Ugo Cundari
Mercoledì 20 Settembre 2023, 13:00
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Succede che a furia di rappresentare una certa realtà nei film, nelle serie, nei romanzi, finanche nei convegni, quella realtà si smaterializza, diventa poco reale, si allontana dal mondo, e chi la vede in televisione, chi la legge nei libri, non la sente materia viva e finisce per percepirla come un mondo altro, un pianeta diverso. Tra le tante realtà napoletane che hanno subito questa sorte primeggia Scampia. Per riportare tutti con i piedi per terra, per raccontare la verità di un quartiere vero, si è mosso Davide Cerullo, 49 anni, che in quelle zone ci è nato e ci ha spacciato e per un soffio è riuscito a uscirne dopo aver fatto anche la galera. Cerullo ha scritto Volti di Scampia (AnimaMundi, pagine 152, euro 30) con l'eloquente sottotitolo di I giusti di Gomorra, in cui con un ricco apparato fotografico e interventi anche di Erri De Luca, Ernest Pignon-Ernest, Christian Bobin e Patrick Zachmann, lancia la sfida.

Salvare i bambini, le donne e gli uomini marchiati camorristi per sfortuna di nascita, e che camorristi non sono, men che meno quei camorristi patinati dalla vita mitica che troviamo nei film e nei libri.

Parlare della luce e non del buio, non per spirito di contraddizione ma perché davvero a Scampia la luce prevale sulle tenebre, e se quelle tenebre devono essere raccontate bisogna farlo con serietà. Scrive Cerullo: «c'è un calore nei condomini delle case popolari, anche nel dolore o nella rassegnazione, che se lo cogli sarà casa tua per sempre».

Cerullo non ignora i mali, semplicemente li racconta nella banale quotidianità, non nelle gesta dei supereroi camorristi. «Il crimine più grande che si possa commettere contro l'umanità è non permettere a un bambino di essere un bambino. Come crescono certi bambini nei quartieri fragili come Scampia? Anche una banalità come tagliarsi i capelli può essere piena di questa cultura da uomo d'onore. Ricordo una mamma che alla domanda del barbiere su che taglio di capelli volesse per il figlio di tre anni rispose: Facc' nu tagl'a omm».

Le vite degne di essere raccontate sono quelle del clan Savastano ma quelle di un tredicenne, Vittorio, che si è impiccato per la vergogna di essere figlio di un camorrista, o di Rosa, padre ucciso sotto casa, avviata dalla madre alla prostituzione a sedici anni, che confessa a Cerullo: «In una delle mie tante notti in questo schifo ho sognato mio padre, che conosco solo da una foto che mi sono fatta riprodurre in oro e che oggi porto sempre appesa al collo con una catenina, questa cosa fa parte di quella cultura in cui tante pecore nere come me credono. Nel sogno, come un lamento soffocato, mio padre mi diceva Perdonami, perdonami, bambina mia».

Per Cerullo la camorra si combatte costruendo una comunità, non con la celebrazione degli eroi dell'anticamorra. A Ernest Pignon confessa: «Se già adolescente vendevo la morte non è perché ero nato a Scampia, ma perché non ero andato a scuola, perché non avevo gli strumenti per difendermi: loppressione più grande che si possa esercitare è verso chi non ha la parola. La mancanza di cultura ti espone all'ingranaggio della delinquenza organizzata, alla malavita». 

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