Emanuele Trevi, La casa del mago: se nella casa del padre aleggia lo spirito di Jung

«Mio padre era lì, in quella situazione irripetibile e insensata della mia vita»

Emanuele Trevi
Emanuele Trevi
di Generoso Picone
Giovedì 28 Settembre 2023, 07:00
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Ogni storia si regge su un filo, spiega Emanuele Trevi a un certo punto di La casa del mago (Ponte alle grazie, pagg. 249, euro 18), come a indicare la trama lungo la quale sta disponendo le sequenze di un percorso complicato e difficile ma inevitabilmente necessario. Perché la realtà traballa sempre, ha una fragilità che la porta a debordare nei territori dell'irrealtà, specie quando si va a indagare negli spazi impervi «fondali limacciosi» - della vita e della memoria: una volta tirato il filo, c'è il rischio di veder crollare tutto. Se lui quella mattina non avesse dimenticato nel carrello della spesa lo zodiaco in cui Ernst Bernhard, il grande psicanalista junghiana maestro del padre Mario, al momento della sua nascita aveva voluto rappresentare la previsione dell'esistenza che gli sarebbe toccata, lasciandolo nel fondo di un cassetto per farglielo consegnare cinquant'anni dopo da Luciana Marinangeli, prezioso e misterioso lascito; se in quei fasci di linee variamenti intersecati fosse riuscito a leggere i tratti del tempo passato e soprattutto di quelli del futuro da attraversare; se tutto ciò sarebbe successo, avrebbe capito davvero chi era, che cosa desiderasse, in quale direzione una volontà metafisica lo stava guidando?

L'episodio citato assume un valore importante nella narrazione che Trevi svolge in equilibrio tra il romanzo, il memoir e il saggio, alternandone i toni e i registri comunque con effetto riuscito. Era stato così in Qualcosa di scritto del 2012, in Sogni e favole del 2019 e in Due vite del 2021, tappe intermedie di una narrazione dell'io che dalla geografia intellettuale e umana dove si incontravano Pier Paolo Pasolini, Laura Betti, Cesare Garboli, Artur Patten, Amelia Rosselli, Rocco Carbone e Pia Pera, la sua costellazione di riferimento, si restringe convergendo alla figura centrale e dominante: allo straordinario profilo paterno.

Nella pagina del figlio Emanuele, l'immagine del padre Mario si staglia nei contorni precisi di un mago ma «di prima classe, rispettato anche dai vecchi amici, venerato da allievi e pazienti come una volta si usava fare con gli esorcisti, i taumaturghi, gli aruspici, o certi santi chiaroveggenti e terapeutici della tradizione cattolica», un Gandalf uscito dal Signore degli Anelli per appuntare in un corpo a corpo critico il monumentale Simboli della trasformazione di Carl Gustav Jung, la personalità imperscrutabile nel cui braciere psichico - ardente anche oltre la sua morte si va alla ricerca della junghiana prova di «qualche cosa che potesse dare un significato alla banalità della vita».

Emanuele decide o è deciso - di andare ad abitarne la sua casa, il museo composto da «una bizzarra congerie di oggetti di cui sono diventato il curatore e il custode» e compila una specie di catalogo ragionato per trovare lì, altro che nel quadro astrale di Bernhard, il bandolo dell'intreccio delle radici. È un viaggio iniziatico all'interno di sé in un labirinto di 90 metri quadrati, abitato da ricordi e presenze, simboli e fantasmi, enigmi e metafore, le misteriose incursioni della Visitatrice e l'ombra eloquente di Miss Frank Miller, i vortici coinvolgenti della Degenerata e la carnalità gentile di Paradisa: evoca le sedute condotte da Mario, la sua scrivania, la lucerna che sembra il totem di chi attraversa le tenebre dell'anima, le pareti ad accogliere l'atto di indipendenza dell'inconscio dalla coscienza, la collezione di sassi lucidati con disciplina maniacale a insegnare che le parole devono essere trattate in egual mondo per riscattarsi dalla loro inerzia e acquisire un valore.

La casa per Jung è la dimora della coscienza. La casa del mago-padre declina questa certezza modellandola sull'esperienza del figlio. Paradisa, la prostituta peruviana che la Degenerata gli ha fatto conoscere, rammenta le regole di un gioco popolare dalle sue parti, l'hijo del mago, il figlio del mago: i bambini corrono fino a quando sono chiamati a rimanere immobili, evitando però di capitare nel posto sbagliato, la cueva del mago, la grotta del mago. Chi ci casca viene eliminato e paga penitenza: «Chiunque poteva diventare figlio del mago, se si fosse trovato dove non doveva stare».

La casa del mago si apre con l'affermazione che la madre ripeteva spesso al figlio riguardo al padre: «Lo sai com'è fatto». Lui, per giungere a un'attendibile identificazione di se stesso, deve nascere una seconda volta e ciò si verifica davanti alla tomba di famiglia nelle Langhe di Beppe Fenoglio, dove capisce di essere «molto vicino a un'origine, a una fonte di energia potente e indefinibile». Può agguantare il cambiamento, la trasformazione, la consapevolezza di una stabilità. Il sasso ripulito dalla polvere, nell'abbraccio con Paradisa a un passo dal Cern di Ginevra che ospita la particella di Dio. «Mio padre era lì, in quella situazione irripetibile e insensata della mia vita». 

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