Greci o Katundi, è arbëreshë il cuore della Valle del Cervaro

Gli anziani parlano quasi solo arbëreshë, i giovani sono bi-lingue, le cucine operose sfornano piatti e profumi albanesi

Benvenuti a Greci, nel cuore della Valle del Cervaro
Benvenuti a Greci, nel cuore della Valle del Cervaro
Aldo Balestradi Aldo Balestra
Giovedì 1 Giugno 2023, 07:00 - Ultimo agg. 2 Giugno, 09:58
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«Kur zoqi veta e vien, ka falenë»: il cielo di Greci, nel cuore della Valle del Cervaro, si tinge d'azzurro in una primavera instabile. E se nel cielo volteggiano le rondini è proprio perché «quando l'uccello va avanti e indietro ha il nido». Le nonnine di questa unica comunità albanofana della Campania, tutelata dalla legge regionale 14 del 2004, già animano i vicoli che portano alla chiesa madre di San Bartolomeo. Anche quest'anno in inverno «krishëti si ì mali trëgon boran» («Cristo ha mandato la neve proporzionata alla grandezza della montagna»), dicono ripetendo un antico proverbio che ritrovi in una raccolta che Antonio Sasso, orgoglioso grecese studioso dei fenomeni linguistici meridionali, ha raccolto in un libello (“Un anno d'altri tempi”), testimonianza d'appartenenza al mondo arbëreshë e grido d'allarme sullo svuotamento dei paesi dell'osso.

Benvenuti a Katundi, letteralmente «il centro abitato», ed è così che i grecesi chiamano Greci, il loro paese, nel cuore dell'Irpinia, equidistante da Avellino, Foggia e Benevento. Qui, e in Calabria, più che nelle decine di comunità albanofane che attraversano l'Appennino Meridionale spingendosi sino in Sicilia, si ha la sensazione di respirare orgogliosa, seppur in sedicesimi, «l'altra storia», quella che rimanda al quindicesimo secolo e all'arrivo delle comunità albanesi al seguito del condottiero Giorgio Castriota Scandeberg, che contribuirono alla vittoria del Re Ferdinando su Carlo d'Angiò.

Proprio quella forza e tenacia indusse il re, magnanimo, a concedere alle comunità albanesi di rimanere in Italia, per vigilare sugli insediamenti franco-angioini.

Venne fuori un piccolo regno arbëreshë: la Campania con Greci, e l'Abruzzo da Badhesa (Villa Badessa) scendendo giù per il Molise, la Puglia, la Basilicata, la ricchissima Calabria (intorno a Cosenza c'è un vero e proprio circolo di 30 comuni e tre frazioni d'origine albanese, per un totale di quasi 60.000 persone), fino in Sicilia (come dimenticare Piana degli Albanesi, «Hora» e «Arbëreshëvet» in arbëreshë). Una vera e propria dorsale di comuni che tiene vive comunità albanofane di grande importanza e orgogliosa tradizione. Da qualche parte il bilinguismo resiste in maniera spiccata, è il parlare di ogni giorno, da altre sopravvive intensa (anche) la tradizione religiosa, o (di più) qualche antica ricetta in cucina. Certo è che l'impronta albanese ha lasciato, insopprimibili, più segni.

A Greci i cartelli ti accolgono in doppia lingua, gli anziani parlano quasi solo arbëreshë, i giovani sono bi-lingue, le cucine operose sfornano piatti e profumi albanesi (che a 821 metri sul livello del mare, soprattutto d'inverno, fanno sangue («Luga di Çë ka poÇia», «Il cucchiaio sa che cosa c'è nella pignatta»). Ma la difesa per tener desta questa particolare e unica radice albanese in Campania è forte, quotidiana: deve fare i conti con l'emigrazione, che nell'arco del decennio 2012-2022 ha fatto perdere a Greci oltre il 20% dei suoi abitanti, oggi appena 500. «Eppure resistiamo - spiega Sasso - e cerchiamo di tutelare la nostra storia. Siamo in contatto con Ururi, nel basso Molise, ma si potrebbe fare di più con altre comunità analoghe, a patto che non vincano i campanilismi».

I grecesi vanno avanti, abituati al detto «Parla poco e ascolta molto» («Flit pak e gjegje shumë»): anche quest'anno i riti pasquali hanno vissuto della Kalimera, la litania che richiama le ultime ore di vita di Gesù, e ad agosto tornerà la rievocazione del dramma di San Bartolomeo. E sono ancora vivissimi i ricordi e i segni della visita del presidente albanese, Ilir Meta. Il mondo degli studi, in collaborazione con l'università l'Orientale, non manca di iniziative, e la comunità grecese prova a rafforzare i legami con Napoli. Si è ancora in attesa, però, dell'apposizione della targa, in via Santa Chiara, in ricordo degli anni vissuti a Napoli dalla regina Andronica Arianiti Comneno, la vedova del condottiero Scandeberg. L'iniziativa ebbe l'ok dalla Commissione toponomastica ai tempi di De Magistris sindaco, insieme alle Acli si sta cercando di condurre in porto il progetto. E se l'artista albanese Alfred Milot lascia le sue simboliche opere a forma di chiave, simbolo di accoglienza, in Irpinia (Cervinara) e a Napoli (piazza Mercato), qui a Greci - non senza dispiacere - si ricorda il laconico «grazie» all'offerta di presenza nell'ambito del programma di Procida Capitale della Cultura 2022. Ma a Greci la resistenza prima e, la resilienza poi, sono fiere assai. Connaturate allo spirito di Scandeberg. 

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