Maria Rosaria Selo, Vincenzina ora lo sa: Italsider di Bagnoli, storia dell'altro mondo

Al centro del romanzo c'è Vincenzina, giovane battagliera con la stoffa della leader operaia

Maria Rosaria Selo
Maria Rosaria Selo
di Titti Marrone
Lunedì 1 Maggio 2023, 18:00 - Ultimo agg. 2 Maggio, 06:16
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«Vincenzina davanti alla fabbricaaa», cantava la voce strozzata di Enzo Jannacci nel 1974, proiettando con poesia e musica un dolore di spaesamento su una ragazza meridionale catapultata nelle albe livide dei metalmeccanici.

Era una canzone scritta per un bellissimo film di Mario Monicelli, «Romanzo popolare», con Ugo Tognazzi, Michele Placido e un'Ornella Muti ventenne. Questa canzone di certo girava nella testa di Maria Rosaria Selo quando, dopo il felice esordio con L'albero di mandarini, cercava un titolo per il suo secondo romanzo e un nome per la sua protagonista. Così è venuto fuori Vincenzina ora lo sa (Rizzoli, pagg. 274, euro 18), a sua volta un romanzo popolare come il film e come il primo della scrittrice napoletana. La storia che Maria Rosaria Selo racconta ha infatti il timbro tipico della narrativa «democratica» realistica nata in Francia nell'800, fiorita inizialmente sui giornali come feuilleton, affidata a scrittori come Eugene Sue e Honorè de Balzac per raggiungere una platea di lettori molto ampia, spesso riferita a fatti di cronaca o ambiti noti ai lettori e trasfigurati con l'invenzione letteraria. E quello dell'autrice è anche un ritorno alla narrativa italiana sul mondo delle fabbriche e sulle condizioni di lavoro dei ceti operai su cui nella prima parte del 900 hanno acceso i riflettori scrittori come Ottieri, Vittorini, Volponi e all'inizio del nuovo millennio Ermanno Rea con La dismissione.

Il luogo che Selo racconta è lo stesso narrato da Rea, di enorme suggestione: è l'Italsider, lo stabilimento di Bagnoli, o cantiere del sogno industrialista napoletano che ha alimentato e insieme intossicato la vita di generazioni di operai con rispettive famiglie.

La vicenda si apre nel 1981, su un'assemblea di fabbrica indetta dopo che una decisione ministeriale di tagliare posti di lavoro ha indotto un operaio a gettarsi dalla finestra per la disperazione.

Al centro dell'assemblea, così come di tutto il romanzo, c'è Vincenzina, giovane battagliera con la stoffa della leader operaia. La ragazza è stata costretta a sospendere gli studi universitari per sostenere la famiglia, entrando in fabbrica al posto del padre, Ferdinando, cui il veleno respirato nello stabilimento ha bruciato i polmoni e spezzato la vita. Vincenzina, arrivata nell'acciaieria malvolentieri nel 1975 con una mansione da addetta alle pulizie, poco a poco «vuol bene alla fabbrica» come direbbe Jannacci. 

L'autrice è brava a raccontare una pagina importante della lotta per il lavoro e il sentimento di appartenenza che fu tipico dei caschi gialli di Bagnoli, contraddetto dalla consapevolezza dei rischi più volte sfociati in malattie e morti drammatiche: le stesse oggi di drammatica attualità. Uno dei capisaldi della narrazione è poi quella che una volta si chiamava la coscienza di classe, restituita con lucida determinazione da Selo in una vicenda piena di colpi di scena, a tratti spostata nella parte ricca della città, una Posillipo dove stanno di casa la spietatezza e il cinismo della borghesia avida, contrapposta al quartiere operaio dai valori solidi.

Nella fabbrica siderurgica con le varie fasi della lavorazione spiccano i personaggi positivi, caratterizzati con gran precisione. Sono tutti nella famiglia di Vincenzina o nella cerchia delle persone dello stabilimento con cui lei lega: la madre Antonietta vedova infelice, la sorella Giulia sedicenne attratta dalla vita dei coetanei di Chiaia, le compagne di lavoro ingannate dagli uomini. Al polo opposto si collocano i crumiri, i dirigenti incuranti dell'insicurezza sul lavoro, i privilegiati della città bene. Ma è soprattutto nel ritrarre la fabbrica e l'intero quartiere di Bagnoli che la scrittura di Selo restituisce letterariamente con passo delicato un intenso «come eravamo» di recente storia napoletana e l'album in bianco e nero di ricordi lontani: «Bagnoli la domenica mattina ha il buon odore delle cucine che si svegliano presto, che sanno di verdure fresche sciacquate sotto l'acqua corrente, di carni che sfrigolano in padella... La fabbrica rallenta, il suo olezzo viene sopraffatto dal cibo che preparano le donne... Le strade, parallele l'una all'altra, sono incroci di conoscenze, di vite che corrono nella stessa direzione, scandite dalla sirena del cambio turno in fabbrica, alle sette del mattino, alle tre del pomeriggio e alle nove di sera».

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Sfogliando l'album dei ricordi, nel finale si arriva alla foto della nostalgia. Quella nitidissima dell'alba del 20 ottobre 1990 che ritrae l'ultima colata: «L'Altoforno Numero 5 viene spento, e tutta l'area a caldo del Centro Siderurgico di Bagnoli si ferma. Per la prima volta c'è un silenzio crudele e a tutti sembra di entrare in un altro mondo». Storia recente e ancora palpitante ricostruita con passione, oltre che con accurata ricerca nel glorioso archivio Ilva-Bagnoli. 

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