Scompariva 80 anni fa a Sorrento, il 20 aprile 1943, Roberto Bracco, uno degli intellettuali italiani più vivaci a cavallo tra 800 e 900, a un passo dal Nobel che non vinse mai, perché il fascismo lo considerò sempre soprattutto un «anti-italiano». In realtà, Bracco era solo un antifascista. L'aveva scritto a più riprese nei suoi articoli sulle pagine de «Il Mattino» e l'aveva detto chiaramente, intervistato quando si candidò alla Camera nel 1924. Uomo generoso, non era mai stato un opportunista. Aveva tutto da perdere. E infatti, fu l'inizio della sua fine.
Bracco era stato a lungo l'autore drammatico più conosciuto e tradotto, nei teatri di tutto il mondo.
Non fu mai un provinciale, Bracco. Pur essendo napoletanissimo nato a San Gregorio Armeno e vissuto nei Quartieri Spagnoli, autore di canzoni per la Piedigrotta non pensò mai che Napoli fosse il centro del mondo. Amò e fece conoscere il teatro di Ibsen. Fu tra i fondatori della Siae, ebbe un rapporto speciale con le grandi attrici dell'epoca, dalla Duse alla Gramatica. Fu amico di Croce e di Gorky. In un'intervista del 1899, Ojetti lo definiva il suo «elegante amico geniale».
Fu in buoni rapporti pure con Pirandello, anche se i critici si inventarono una rivalità tra i due, che in realtà era solo l'opposizione tra due mondi: la forza travolgente quanto incognita del '900 e il tramonto di un «lungo '800» di cui Bracco era stato un brillante protagonista.
Intelligente e spiritoso, sapeva benissimo che la sua «arte» (che già andava raccogliendo nell'edizione completa di oltre 20 volumi) era in parte superata. Ma questo non gli impedì mai di essere ancora modernissimo e attuale, partecipando ai grandi dibattiti del nuovo secolo. Durante la Grande Guerra fu un convinto anti-militarista, aderendo al manifesto di Romain Rolland. Non credette alla «rivoluzione fascista», sostenendo da subito che l'Italia fosse un paese civile, di democrazia europea, che non aveva bisogno di «dittature a lungo metraggio, rosse o nere che siano».
Commise il doppio peccato, insomma, di essere antifascista e pure anticomunista. E anche questo ha pesato certamente sul tardivo e parziale recupero della sua memoria. Che furono comunque i fascisti a distruggere, rendendogli la vita impossibile. Vietate le sue opere a teatro, ridotte le collaborazioni, emarginato dall'ambiente letterario ufficiale, per gran parte sussidiato dal regime. Bracco fu per vent'anni sorvegliato dalla polizia politica, e scampò fortuitamente ad un paio di aggressioni. Il suo dramma «I pazzi» divenne un vero e proprio caso, con gli squadristi che misero a soqquadro il teatro Eliseo di Roma.
I tempi sono maturi per liberare la vicenda di Roberto Bracco da vecchie e sempre più inadeguate griglie ideologiche, e ridargli il posto che merita nella storia della letteratura mondiale. Peccato solo che non esista un Nobel «al tempo perduto»!