Napoli, a Palazzo Fondi la mostra del collettivo damp per dar «voce» agli artisti

L’opera interpreta in modo inedito la richiesta di esprimersi attraverso un dialogo tra i due monitor nello spazio architettonico che li contiene

Palazzo Fondi
Palazzo Fondi
Martedì 28 Febbraio 2023, 19:00
4 Minuti di Lettura

Continua l’attività espositiva e narrativa contemporanea de l’Arsenale di Napoli – startup culturale vincitrice del programma «I Quartieri dell’Innovazione» promosso dall’assessorato alle Politiche Giovanili e al Lavoro del Comune di Napoli – che mira a far si che il territorio partenopeo e la sua area regionale d’influenza siano percepiti come un unico museo.

Venerdì 3 Marzo alle ore 18:00 nella sala circolare de l’Arsenale a Palazzo Fondi, apre la nuova installazione «Niyo-dan ibe falewan?» del collettivo damp.

Prosegue con questo intervento il programma espositivo che da spazio a quegli artisti attivi a Napoli in grado di dar «voce» al patrimonio culturale intangibile del territorio, attraverso una ricerca artistica che prescinde dalla matericità. Il titolo «Niyo-dan ibe falewan?» è una frase in lingua Bambara (uno degli idiomi più diffusi dell'Africa Occidentale, in particolare in Mali) che, letteralmente, si traduce in italiano: «se ti pianto, tu germogli?».

Si tratta di una espressione tradizionale che viene utilizzata in Bambara ancora oggi per chiedere un favore. La semplice domanda fatta da un individuo ad un altro scaturisce da una stretta relazione e determina una conseguenza molto complessa.

La frase viene generalmente usata per chiedere un impegno che non può essere negato: essa presuppone un contenuto molto importante per il richiedente, che innesca quindi la curiosità dell’interlocutore; questi, in virtù della propria curiosità, accetta l’impegno al quale non potrà più sottrarsi pur non conoscendo ancora l'effettiva richiesta. Si tratta di una reminiscenza simbolica di una cultura prodotta da una civiltà, l’impero Bambara, esistito in Africa occidentale quasi negli stessi anni (1712-1861) del regno borbonico di Napoli; il contesto evocato dalla frase scaturisce dall’economia prevalentemente agricola dei Bambara e dal fatto che l’autorità traesse origine dalla terra. Con l’installazione il collettivo damp trasla l’idea di reciprocità dell’espressione Bambara sul piano della visione, applicandolo ai due monitor che, posti l’uno difronte all’altro nella Sala Circolare, idealmente sembrano rimandarsi la frase: Niyo-dan ibe falewan? La domanda genera una sorta di corto circuito nell’economia della relazione, un continuo rimpallo tra gli attori presenti in campo. Questo chiedersi vicendevolmente un favore si traduce in un dialogo cromatico che prende forma su di una superficie bianca.

Le tonalità delle luci – blu da un lato, rossa dall’altro – per la coltivazione indoor evocano la profusione organica delle possibilità, tuttavia, gli schermi, rimandandosi la stessa domanda, creano una situazione di stallo. Si illumina quell’in-betweenness da cui si attende possa germogliare qualcosa: tutto ciò che non è visibile è consegnato alla sfera dell’immaginabile. Il riferimento di questa mostra ad una cultura apparentemente così lontana da quella partenopea, intende offrire, al contrario, un punto di partenza esterno per una riflessione su alcune peculiarità storiche ancora presenti nella cultura contemporanea del territorio: dualità e inclusività.

Fin dalla sua fondazione, Napoli divenne immediatamente il luogo della dualità, del contrasto e dell’incontro allo stesso tempo: ha presupposto l’esistenza nel proprio territorio di qualcosa di più antico e preesistente (Partenope) in dialogo costante con il nuovo (Neapolis). Fin dall’origine, per la sua posizione geografica al centro del Mediterraneo, fu una città di incontri, di scambi, di coabitazione, tra i nuovi arrivati e coloro che già in precedenza vivevano nel suo territorio. Non ci può essere dunque dualità senza inclusività, senza la storica attitudine dei suoi abitanti ad accogliere la diversità. Anche questa mostra è frutto dell’incontro e dello scambio tra gli artisti ed alcuni esponenti della comunità maliana e dell’Africa occidentale presenti in città; e si pone come espressione di una cultura che ancora oggi, nonostante le difficoltà economiche, evolve grazie alla relazione con coloro che, provenienti da paesi anche molto lontani, scelgono di fare di Napoli la propria nuova dimora. 

© RIPRODUZIONE RISERVATA