«Neve rossa», un mistero torinese nel nuovo romanzo per ragazzi di Albertazzi e Ruiz Mignone

Nella collana mistery di ChiarEdizioni la storia di un serial killer e di un 13enne che ama leggere

La copertina di Neve Rossa
La copertina di Neve Rossa
di Donatella Trotta
Mercoledì 19 Luglio 2023, 12:47
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Correvano i primi anni Novanta, quando nel campo della letteratura giovanile prese piede una fortunata serie di libri per ragazzi ispirata a personaggi e atmosfere tipici del cinema della letteratura del terrore/horror, ma rivisitati con ironia, tra improbabili mostriciattoli e scampagnate di scheletri: ”Piccoli brividi” il titolo della collana, nata dalla penna dell’autore statunitense Robert Lawrence Stine e divenuta long seller da oltre 400 milioni di copie vendute in tutto il mondo, con traduzioni in 32 lingue (in italiano li pubblica Mondadori).

“Rabbrividire con il sorriso” la formula vincente di quei libri. Che a cascata hanno poi generato, anche in Italia, tutta una serie di collane dedicate per gli under 15. Da “I miei primi gialli” per i più piccoli, a “Giallo e Nero” (del Battello a Vapore) e via elencando. Fino a una progressiva “italianizzazione” di un genere - soprattutto di area angloamericana o francese - che può intrecciare mistery, noir, thriller, poliziesco e crime, sottogeneri che che da noi confluiscono quasi inevitabilmente nel Giallo: dal colore delle copertine della storica collana Mondadori per adulti, ideata da Lorenzo Montano (alias Danilo Lebrecht) nel 1929.

Uno degli autori italiani di punta di questo genere è Ferdinando Albertazzi, sagace scrittore, saggista e giornalista di origini bolognesi e residenza torinese, autore di vari libri in cui i sentimenti cruciali di un percorso di formazione vengono declinati anche in chiave giallo-noir per emozionare e far riflettere i ragazzi attraverso il racconto.

Operazione condivisa ora da Albertazzi con un altro autore di punta di Juvenilia, Sebastiano Ruiz Mignone, torinese mato nelle Langhe dalla cifra surreale che caratterizza gli oltre 90 libri da lui pubblicati, tradotti in 15 Paesi. Entrambi profondi conoscitori e interlocutori del mondo giovanile e della loro città, Torino (non a caso coprotagonista del loro nuovo libro), i due autori firmano ora insieme «Neve rossa» (ChiarEdizioni, genere Mistery Young Adult, pp. 134, euro 14,90, con illustrazioni bianconere di Valeria Troncarelli). Il libro è un godibile giallo per ragazzi ambientato nel capoluogo piemontese innevato, nel cuore dell’Avvento, nella cui normalità quotidiana prefestiva natalizia irrompe il perturbante: un serial killer. Tanto misterioso nei suoi rituali quanto insospettabile. Un assassino di ragazzini che cambierà per sempre la vita del tredicenne Vladimiro detto Vlady, figlio unico di madre single poliziotta e protagonista del romanzo.

Vlady è un  ragazzo che ama il cinema, i romanzi d’avventura e anche decifrare storie intricate, peraltro pane quotidiano di sua madre ma soprattutto del suo amico e “zio” acquisito, il commissario Carlo Lafortezza: figura strategica nel libro, accanto ad altri personaggi tra i quali un acuto clochard che vive per strada, un sacerdote che custodisce segreti indicibili, una cassiera romantica e chiacchierona, un tabaccaio insolente…  

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Gli ingredienti per rabbrividire, in questa estate particolarmente torrida, ci sono davvero tutti: un best seller in cima alle classifiche, che apre il libro e si intitola (guarda caso) «Il carnefice», oggetto del desiderio degli adolescenti nella collana (ironicamente) denominata “killerthriller”; due scrittori di successo, Kat e Zen, che scrivono a quattro mani firmandosi con lo pseudonimo di Kat Zengori, fusione dei loro nomi determinati a non tornare nell’invisibilità della miseria; atmosfere nebbiose; un calendario dell’Avvento legato all’inquietudine di una serie di bizzarri eventi che causa purtroppo la morte di cinque ragazzi in nove giorni; un’indagine in difficoltà, con la stampa alle costole incarnata da un goffo giornalista intenzionato a scrivere lo scoop della sua vita; e ancora agguati, silenzi omertosi, depistaggi e personaggi-chiave, potenziali testimoni dei delitti nello snodarsi della storia dal ritmo cinematografico, scritta con un linguaggio incline a un lessico giovanile.

Albertazzi e Ruiz Mignone sembrano divertirsi molto, nel maneggiare insieme una storia di paura a misura di ragazzo ma costellata qua e lè di ironie sul genere, e messaggi esplicitamente edificanti sui rapporti di fiducia tra i più giovani e alcune figure di adulti come Lafortezza: icona di (rare) persone «che fanno una questione personale di tutto, anche delle cose che capitano per caso», si legge proprio all’inizio; uomini che sanno «mettersi in gioco, e prendono posizione, non se ne lavano le mani e non lasciano che siano altri a cavare le castagne dal fuoco» perché «odiano gli indifferenti, la gente che non batte ciglio al peggio del mondo e senza fare una piega lascia che il male dilaghi». Un’empatia sotto traccia, quasi a esorcizzare l’orrore (vero: basta sentire un telegiornale) propinato quotidianamente dalla realtà che come è noto supera spesso, di gran lunga, la fantasia: e allora una chiave di lettura può essere proprio la prima delle tre epigrafi apposte come esergo al libro. È di un regista, François Truffaut, e recita: «Penso che la paura sia un’emozione “nobile” e che possa essere “nobile” farvela provare. È nobile confessare di aver avuto paura e di averne tratto piacere. Un giorno o l’altro solo i bambini avranno questa nobiltà».

Chissà. Resta il dubbio, preludio di un possibile dissenso, che sorge spontaneo, nel lettore adulto, rispetto al ruolo effettivo e al senso della “paura”, più o meno nobile che sia. Ma se si pensa alla tradizione fiabesca, spesso orrorifica in funzione appunto catartica, il giudizio allora si sospende. La prospettiva cambia ancora. E un giallo per ragazzi può diventare allora quel che è: un’evasione dalla realtà, magari ispirata dalle cronache, per aguzzare l’ingegno. Sul mistero del male. E sulla ricerca di un possibile colpevole. Magari, recuperando nella concretezza di gesti non virtuali una relazione di fiducia tra ragazzi e adulti come il commissario Lafortezza (nomen omen). Ovvero, ribadisce l’io narrante Vlady, preadolescente che pensa con la sua testa: «Uomini che non si tirano indietro, che non si voltano dall’altra parte, che ci sono davvero. Uomini che possono esserti amici e complici, perché non dimenticano di essere stati giovani e giovani lo sono tenacemente rimasti, dentro. Uomini che non hanno dimenticato le difficoltà e le paure di quegli anni fragili: di loro ci si può fidare, non si rischia di essere traditi e di venire abbandonati». E sembra allora questa un’altra possibile chiave di lettura che capovolge ancora la prospettiva: trasformando un divertissement abilmente costruito  su angosce e spettri che possono affliggere la stagione dell’infanzia in un campanello d’allarme preventivo, a scuotere e interpellare tanti adulti contemporanei affetti da una immaturità che è malattia (mortale) della contemporaneità.

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