Ice, Matteo Zoppas: «Biodiversità e identità per vino e agroalimentare. Dobbiamo valorizzare il sistema Paese»

L’analisi del presidente dell’Agenzia Ice: «Il settore è in controtendenza rispetto al resto del Made in Italy. L’export vinicolo ha rallentato un po’»

Matteo Zoppas
Matteo Zoppas
di Carlo Ottaviano
Mercoledì 6 Marzo 2024, 12:34 - Ultimo agg. 7 Marzo, 07:30
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Si pensa sempre alla moda, ma è l’agroalimentare il più noto biglietto da visita italiano nel mondo.

I dati definitivi del 2023 non ci sono, ma l’export di cibo supererà sicuramente i 64 miliardi di euro, contro i 58,5 dell’anno precedente, un più 6% rispetto al 2022. Matteo Zoppas, 50 anni, imprenditore veneto ma nato a Pordenone, è il presidente dell’Agenzia Ice, l’organismo attraverso cui il Governo favorisce il consolidamento e lo sviluppo economico-commerciale delle nostre imprese all’estero.

Presidente, un bilancio del 2023?

«Il settore agroalimentare è in controtendenza rispetto al resto del Made in Italy, ha chiuso il 2023 a 626 miliardi di euro, esattamente come nel 2022».

Nell’agroalimentare il vino è la punta di diamante, circa 8 miliardi di euro di esportazioni. Però nel 2023 c’è stato un calo nei maggiori Paesi importatori (a esclusione della Germania).

«Parlerei di cautela: il vino in generale ha espresso un meno 4% nei volumi e un meno 7% nei valori. Il rallentamento è stato soprattutto negli Stati Uniti dove tutto il vino sta calando in modo importante (meno 10% circa) tranne il prosecco. C’è anche la Cina che tira al ribasso e un po’ tutta l’Asia. Il rallentamento è dovuto a una fase di destocking, cioè di prodotto accumulato in eccesso. Paghiamo l’onda lunga delle conseguenze del Covid e della momentanea prudenza dei consumatori. Inoltre, c’è attesa sugli aggiustamenti dei tassi di interesse, che potrebbero modificare i comportamenti di spesa».

La Francia ha perso ancora più mercato. Ma Parigi ha comunque margini maggiori perché vende i vini a prezzi più alti. Cosa stiamo facendo noi per valorizzare maggiormente le nostre bottiglie?

«Noi facciamo sempre e continuamente delle attività. È la nostra “goccia cinese”, costante. Lavoriamo su due fronti con l’obiettivo di far incontrare produttori e clienti. All’estero accompagnando aziende in fiere, collettive o missioni b2b (120 iniziative nel 2023). In Italia con l’incoming di buyer e decision maker (1.944 gli operatori esteri lo scorso anno). Aiutiamo la conoscenza del vino italiano, lavorando così sul posizionamento».

Cosa tira di più?

«Prosecco, Franciacorta, Chianti, Valpolicella. Ma emergono interessantissime peculiarità: cito solo i vini vulcanici e la Puglia. C’è una richiesta forte di biodiversità e il modo migliore di vendere il vino italiano è di associarlo alla cucina regionale, ai prodotti agricoli e alle tipicità locali. L’auspicato riconoscimento della cucina italiana come patrimonio Unesco è un’autostrada promozionale, uno strumento per raccontare non solo l’immaterialità, i sapori, ma anche la biodiversità e la ricchezza dell’offerta».

Su quali Paesi puntare?

«Naturalmente in primo luogo sempre gli Stati Uniti. Oggi con i social e la comunicazione digitale, il racconto di quello che succede lì viene guardato da tutti. Stiamo lavorando con forza con VeronaFiere per espandere all’estero Vinitaly collaborando con realtà come l’International Wine Expo di Chicago.

Questo è un progetto strategico».

Gli altri Paesi obiettivo?

«Giappone, altri asiatici e la Cina sperando che si riprenda. Ma non dimentichiamo i Balcani e il Sud America dove la crescita economica vedrà aumentare anche il consumo del vino».

Uno dei temi dolenti è quello della distribuzione, specialmente per i piccoli produttori. Qual è la sua ricetta?

«L’errore nella scelta del distributore può essere fatale. Invece di un distributore grande con migliaia e migliaia di etichette, personalmente preferirei chi ha una forza commerciale minima, ma è determinato a crescere con me, crede nella qualità del mio prodotto. E, ovviamente, deve avere il corretto profitto».

Punto di forza dell’Italia nell’export è anche l’agritech, in particolare i macchinari per l’enologia.

«Si, siamo i secondi al mondo con oltre 1,6 miliardi di euro di export. Siamo un’eccellenza a livello mondiale: lo eravamo prima quando i prodotti erano più meccanici, lo siamo adesso con la digitalizzazione. Stiamo concentrando l’attività nei Paesi in cui l’agritech italiano aiuta ad accelerare la transizione verso standard produttivi e qualitativi europei, non solo in termini di performance ma anche sul versante della sostenibilità. In Africa, per esempio, siamo impegnati nelle gestioni idriche e nelle canalizzazioni».

In coerenza quindi col piano Mattei del Governo e alla luce di una realtà drammatica che vede l’insicurezza alimentare grave colpire 258 milioni di persone in 58 Paesi del mondo.

«Le tecnologie legate all’agricoltura sono tra i pilastri del piano Mattei. Lavoriamo quindi per estendere le superfici coltivate e aumentare la loro produttività con l’impiego di minori risorse».

Qualche esempio dei vostro impegno?

«Una best practice è Lab Innova for Africa: il programma realizzato in Etiopia, Mozambico, Uganda, Angola, Rwanda, Ghana, Nigeria, Costa D’Avorio, Senegal e Tunisia. Il progetto punta su formazione manageriale, innovazione e trasferimento tecnologico nel settore agricolo e agroindustriale».

Ma poi, come far arrivare i prodotti africani in Europa?

«Abbiamo contribuito a sbloccare la linea Ro-Ro Trieste-Damietta. Questa linea fa di Trieste una porta d’accesso all’Egitto e alla regione. Allo stesso tempo, il Porto di Damietta consentirà ai prodotti italiani, in particolare alimentari, farmaceutici e tessili, di raggiungere non solo il mercato egiziano, ma anche quello africano e mediorientale».

Da un anno esatto lei è presidente di Ice. Le sue parole d’ordine?

«Ne bastano due. La prima è lavorare sulla sostenibilità e le biodiversità, perché la richiesta va in questa direzione. La seconda è valorizzare il sistema Paese lavorando assieme a realtà come Simest, Sace e Cdp, con il ministro Tajani per contribuire alla diplomazia della crescita grazie anche alle misure messe in campo dal ministro Urso per favorire il nostro export e al ministro Lollobrigida per l’agroalimentare. Non dimentichiamo che l’export italiano complessivamente vale 626 miliardi, cioè un terzo del Pil nazionale».

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