Neet, in Italia i giovani che non studiano o lavorano sono il 23%. Con il nuovo Reddito +1% di Pil. Il rapporto Ocse

L’Ocse promuove il sostegno e mette in guardia sui troppi giovani esclusi dal mercato dell’occupazione

Neet, in Italia i giovani che non studiano o lavorano sono il 23%. Con il nuovo Reddito +1% di Pil. Il rapporto Ocse
Neet, in Italia i giovani che non studiano o lavorano sono il 23%. Con il nuovo Reddito +1% di Pil. Il rapporto Ocse
di Francesco Bisozzi
Sabato 27 Gennaio 2024, 21:38 - Ultimo agg. 29 Gennaio, 09:03
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Rafforzare le politiche attive sul lavoro. Favorire l’occupazione femminile. Spingere i giovani a laurearsi. Così il Pil pro capite in Italia potrebbe aumentare del 3,5% entro il 2050. Lo afferma un report dell’Ocse, in cui però si accende un faro anche su una debolezza strutturale del sistema Paese, i Neet, ovvero i giovani che non lavorano, non studiano e non ricevono una formazione, e che con un tasso del 23% posizionano l’Italia su un podio di cui non andare fieri, giusto sotto Colombia e Turchia. Insomma, la ricetta dell’Ocse per accelerare la crescita del prodotto interno lordo passa per l’ampliamento delle politiche attive. 

LE MISURE
Il governo ha già iniziato a correggerle in un’ottica di efficientamento, si pensi solo alle nuove misure post reddito di cittadinanza. Per l’Ocse il miglioramento delle politiche attive, la vera e propria sfida su cui bisogna concentrarsi in questa fase, dovrebbe portare a un punto in più di Pil. «L’introduzione dell’assegno per il Supporto per la formazione e il lavoro, che sostituisce il reddito di cittadinanza per gli attivabili, potrebbe comportare - sostiene l’Ocse - risparmi di bilancio pari a circa l’1% del Pil sul breve termine». Bene la creazione di una nuova piattaforma digitale per far incrociare domanda e offerta di lavoro in modo puntuale e tempestivo: «Il Sistema informativo per l’inclusione sociale e lavorativa rappresenta un passo in avanti positivo». 
Sempre l’Ocse, però, avverte: «Attenzione a un eventuale aumento della povertà dei percettori, in particolare di coloro che non possono accedere a una formazione adeguata o che hanno raggiunto la durata massima della prestazione».

E poi. Il report insiste sulla necessità di implementare gli incentivi finanziari correlati all’assunzione di un impiego e sull’esigenza di potenziare il sistema di formazione. 

Per quanto riguarda il gender gap nel mercato del lavoro, la causa dei bassi livelli della partecipazione femminile sarebbe dovuta non solo alla presenza di stereotipi nel percorso educativo, che spingono le donne molto spesso fuori dai percorsi Stem (quelli che si concentrano sulle materie scientifiche), ma anche a un nodo fiscale. «Se, da un lato, il calcolo delle imposte in base al reddito individuale, anziché quello congiunto del nucleo familiare, e la recente introduzione dell’Assegno unico universale, incentivano la partecipazione delle donne al mercato del lavoro, dall’altro il sistema fiscale e previdenziale rimangono, in linea di massima, favorevoli alle famiglie monoreddito», denuncia l’Ocse.

LA FUGA DI CERVELLI
Infine, il report afferma che l’aumento del numero di iscrizioni all’istruzione terziaria potrebbe far crescere il Pil pro capite dell’1,5%. «In Italia la quota di laureati nella popolazione di età compresa tra i 25 e i 34 anni - scrive l’organizzazione - è la seconda più bassa dell’area Ocse dopo il Messico, e molti giovani laureati emigrano. Tra il 2011 e il 2021 l’emigrazione netta cumulata di neolaureati è stata di circa 110 mila persone». Per l’Ocse il nostro sistema universitario penalizza i ricercatori più brillanti, spingendoli all’emigrazione a causa di retribuzioni basse e di incentivi legati alla performance poco incentivanti. Ecco perché il report invita a garantire un legame più forte tra performance e retribuzione, oltre a condizioni di lavoro più attraenti. La retribuzione media dei ricercatori italiani risulta bassa rispetto a quella di Francia, Germania e Regno Unito. 
 

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