Costa Concordia, testimonianza choc: «Vidi una bambina cadere in acqua»

Foto dalla Costa Concordia durante un nauragio scattata da un passeggero
Foto dalla Costa Concordia durante un nauragio scattata da un passeggero
Martedì 26 Novembre 2013, 17:25 - Ultimo agg. 27 Novembre, 21:59
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Dalle paole dei testimoni in aula a Grosseto durante il processo per il naufragio della Costa Concordia emergono dettagli terribili della notte in cui la crociera col a picco di fronte all'isola del Giglio.

«Ricordo che la bambina cadde in acqua, io ero a centro nave, era il momento in cui la nave si ribaltò, la bimba scivolò indietro con un anziano, era difficile riprenderla. E il padre disse: "La bambina, la bambina". Poi non la vidi più»: così un teste, Lorenzo Barabba, responsabile amministrativo della Costa Concordia ha ricordato la morte della piccola Dayana Arlotti, 5 anni, in crociera con il padre, morto anche lui nel naufragio. L'udienza è rimasta sospesa alcuni minuti per la commozione suscitata in aula.

È la prima volta che un testimone racconta di aver assistito alla morte della piccola Dayana e alla scena di William Arlotti che, nel buio, urlò per sapere dove era la sua bimba, morendo poi anche lui nel vano diventato una voragine a causa del ribaltamento della nave. Il teste Lorenzo Barabba, che ha raccontato di aver salvato tanti passeggeri dal corridoio ribaltato, diventato una trappola mortale, ha anche detto che «era difficile arrivarci» a recuperare la bambina e l'anziano scivolati indietro. Sia il teste, sia anche il pm Maria Navarro si sono commossi nel rievocare questo aspetto toccante del naufragio. Dayana e il padre furono ritrovati il 22 febbraio 2012 nei pressi delle scale di collegamento tra il ponte 3 e 4. La bimba fu identificata subito, mentre per il padre fu necessario l'esame del Dna.

Anche Barabba, direttore dei servizi della Costa Concordia, ha raccontato la sua esperienza quella notte: «Fu fatto un "serpente", una catena umana, per passare sul lato sinistro, ci tenevamo tutti quanti per mano perchè si scivolava sulla nave dove l'inclinazione aumentava. A un certo punto eravamo appoggiati su una paratia diventata tipo pavimento, e parlammo con un megafono ai passeggeri nella "fossa" creatasi nella zona degli ascensori per calmarli, dicendo che li avremmo tirati fuori». Barabba, per soccorrere i passeggeri si impegnò fino alle 5.30, andando via per ultimo tra il personale della nave. «Mi passarono una cima, una fune, la lanciammo nella fossa, cercavamo di tirare fuori questa gente - ha continuato - Anche se, chi tiravamo su, poi andava via, senza rimanere ad aiutarci come invece speravamo. Non ricordo quanti ne abbiamo tirati su, ma tanti. Le forze stavano mancandomi, avevo le mani insanguinate».

Ad un certo momento «con un ufficiale ci dicemmo che non c'era più nessuno, la nave era inclinata, le paratie ormai erano pavimenti e i pavimenti erano le paratie. Visto che nessuno rispondeva ai nostri richiami, andammo via, controllammo e uscimmo fuori». È la fase in cui Barabba nota cadere Dayana Arlotti nel corridoio. «C'era gente che moriva dal freddo, ci passavano coperte termiche, salendo verso l'esterno della nave, abbiamo notato una scala che portava fuori, a una biscaggina. Scesi tra gli ultimi, alle 5.30, alle 5.45, seguendo il "serpente"».

Schettino: «Ci furono problemi di comunicazione» «La dilatazione dei tempi, come è emerso finora nel processo, nel dare l'abbandono nave, credo che sia imputabile all'uso di una terminologia tecnica approssimata e spesso contradditoria nel riportare i dati necessari». Lo ha detto Francesco Schettino, in una pausa del processo sulla Costa Concordia, commentando le ultime udienze. «Dati - ha continuato - sulla scorta dei quali sono state prese le decisioni più opportune, tutto in relazione al contesto dell'emergenza».

«Logicamente i dubbi inerenti la comunicazione - ha detto ancora Schettino in relazione a testimonianze delle ultime udienze - sarebbero stati oggetto di ulteriori richieste di informazione che dovevano essere fatte con la dovuta calma. E quindi ecco il perchè del conseguente ritardo nel prendere decisioni che in quel caso erano irrevocabili».

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