Lavoro: è emergenza stagionali, colpa del reddito? La titolare: «Assumere è impossibile, regole da riscrivere»

Emergenza stagionali, colpa del reddito? Non solo. Perchè in Italia nessuno vuole più fare il cameriere
Emergenza stagionali, colpa del reddito? Non solo. Perchè in Italia nessuno vuole più fare il cameriere
Giovedì 14 Aprile 2022, 16:47 - Ultimo agg. 15 Aprile, 15:41
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L'estate si avvicina, ma su ristoranti e stabilmenti incombe l'ombra dell'emergenza: mancano lavoratori.  A dare l'allarme è Adac-Federalberghi, che già in vista di Pasqua e del ponte del 25 aprile prevede una stagione turistica con il problema manodopera. Dalla costiera romagnola fino al Veneto e al Salento si va a caccia di camerieri, pizzaioli, cuochi, barman e persino bagnini. Tanto che tra i titolari delle strutture c'è chi ha aperto le porte ai profughi ucraini per rimpiazzare i posti vacanti. 

Sui social il tam tam di annunci è continuo: "cercasi urgentemente personale". Ma le adesioni arrivano con il contagocce, anche quando - stando a quanto dicono i ristoratori - i contratti offerti garantiscono paghe dignitose, nella media degli stipendi italiani.

Cosa è successo? Se stipendi e condizioni di lavoro nel settore sono rimasti costanti, qualcosa è cambiato dopo la pandemia. Il mercato del lavoro turistico e della ristorazione si è inceppato, le iscrizioni agli istituti alberghieri sono in calo costante da 6 anni. Nessuno insomma vuole più fare il cuoco o il cameriere. E le accuse si rimpallano: i titolari delle strutture puntano il dito sul reddito di cittadinanza e i giovani svogliati, i lavoratori parlano di turni oltre le 10 ore, assenza di contratti e stipendi non commisurati.

Ristorazione e turismo, due "miniere d'oro" per l'economia italiana che prima della pandemia valevano il 13% del Pil e occupavano oltre 4 milioni di persone oggi sono una bomba a orolgeria.

 

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Dopo la pandemia i lavoratori chiedono contratti e "fanno rete" online

La pandemia ha scoperchiato un vaso di pandora e messo in discussione meccanismi che prima venivano accettati. «Molti hanno riscoperto il valore di stare con la famiglia e hanno deciso di allontanarsi da un settore che richiede grandi sacrifici personali e spesso non c'è un equo compenso. E poi, il costo della vita è aumentato, quando ho inziato 50 euro per un servizio sembravano tanti, ora a malapena ripago la benzina» spiega Federica B, 35 anni originaria di Manduria, in Salento. Dopo 10 anni nella ristorazione in diverse mansioni ora lavora come assistente di produzione nel cinema e fa servizi come cameriera solo occasionalmente "per arrotondare".  

La presa di coscienza è passata anche dai social e da una nuova capacità di fare rete. «In tanti durante il lockdown si sono visti negare il bonus o hanno ricevuto cifre irrisorie perchè, pur lavorando da anni a tempo pieno, erano assunti con contratti part-time o completamente in nero» continua Federica «Dopo quell'esperienza meno persone sono disposte a lavorare senza garanzie». Nei gruppi i post raccolgono rabbia e offerte di lavoro al limite dello sfruttamento: «Ci si sente meno soli, i giovani cominciano ad avere la forza di dire di no a condizioni inaccettabili». Per Federica il reddito ha un ruolo ma non è determinante: «Chiunque preferirebbe lavorare e guadagnare di più piuttosto che stare a casa. Ma se l'offerta sono 800 euro per 60 ore settimanali la colpa non è del reddito».

La titolare: «Fare contratti regolari è impossibile, servono nuove regole» 

Anche tra i titolari c'è chi pensa che puntare il dito sul reddito di cittadinanza sia insufficiente a capire la questione. «Il lavoro manca perchè il settore non è più in grado di offrire contratti regolari di fronte ai sacrifici che un mestiere come il nostro richiede» spiega Alessandra D'Amato, 36 anni, titolare di un locale a Fregene, nel litorale romano. Alessandra ha aperto il locale tre anni fa insieme al fidanzato barman, entrambi hanno lavorato per anni come dipendenti: «In 10 anni non mi è mai stato fatto un vero contratto, come possiamo pensare che un giovane sia attratto da questo mondo?». Da titolare oggi affronta il problema da un'altra prospettiva: «Quando sono diventata proprietaria mi sono resa conto che con le regole attuali è difficilissimo assumere in regola il 100% del personale, ci sono costi alti e una tassazione pesante. Il lavoro a nero è quasi ovunque e i controlli sono pochi. Questo pregiudica i lavoratori, ma anche i titolari che scelgono di essere onesti come me, costretti a competere con chi, sfruttando il lavoro, riesce a garantire prezzi più competitivi».

Un circolo vizioso, che però può essere spezzato. «Servirebbero nuovi strumenti e meno burocrazia per mettere in regola il personale senza affrontare costi insostenibili e controlli seri che garantiscano a chi è onesto di non subire una concorrenza sleale». Una "piccola rivoluzione" che riguarda tutti, anche i clienti: «Quando paghi una pizza 5 euro, sai che dietro c'è un lavoratore sfruttato. La professionalità e il lavoro si pagano, questo è il messaggio che dovremmo dare ai giovani affinchè questo settore torni ad essere una strada percorribile per chi cerca un futuro dignitoso». 

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