La Sapienza è donna, Antonella Polimeni eletta rettrice: «Vittoria per tutte le studentesse»

La Sapienza è donna: la prima rettrice al vertice dell'ateneo è Antonella Polimeni
La Sapienza è donna: la prima rettrice al vertice dell'ateneo è Antonella Polimeni
di Lorenzo De Cicco
Sabato 14 Novembre 2020, 00:37 - Ultimo agg. 14:56
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«Ci sono voluti soltanto 717 anni, ma eccomi qua: una donna ce l'ha fatta». Antonella Polimeni, romana, 58 anni, ha appena scalato il più grande ateneo d'Europa. E anche uno dei più antichi. Chissà cosa ne avrebbe pensato papa Bonifacio VIII, di una donna al vertice, quando nel 1303, pieno Medioevo, fondò La Sapienza. Polimeni è un medico, esperto di una disciplina difficile a pronunciarsi, «odontostomatologia», branca della chirurgia maxillo-facciale che si occupa del cavo orale. Preside di Medicina in carica, è stata eletta col 60,7% dei voti, per la prima volta espressi tutti online causa pandemia; tornata elettorale molto partecipata, tra l'altro, dato che ha votato il 74,5% degli aventi diritto e quasi il 92% degli oltre 113mila studenti. Sarà la rettrice della Sapienza fino al 2026, prendendo il timone da Eugenio Gaudio, altro ex preside di Medicina.

 

Come ci si sente ad avere rotto un soffitto di cristallo che resisteva da sette secoli?

«Direi che era ora, anzi era tardi, ma alla fine una donna ce l'ha fatta.

Sono felice anche perché dietro alla mia elezione si è visto uno spirito unitario, oltre il 60% al primo turno. E mi fa piacere soprattutto di avere superato il 90% tra gli studenti».

Alla Sapienza ha messo piede da matricola. Quando ha iniziato a studiare, ha mai pensato: un giorno sarò il rettore?

«No, a fare il rettore forse no, sembrava davvero un sogno lontano. Ma ho sempre saputo di voler lavorare in maniera attiva per la Sapienza, sono riuscita a costruire un percorso puntellato di ruoli di responsabilità. Mi sono sempre impegnata nella cosa pubblica, sia come docente che come medico. Oggi, accanto all'incarico da preside di Medicina, dirigo il dipartimento Testa Collo del policlinico Umberto I».

C'è ancora maschilismo nel mondo dell'università?

«Il maschilismo è un sentimento strisciante e purtroppo esiste. Diciamo che l'ho percepito, ma l'ho superato. La tenacia e il lavoro quotidiano, la trasparenza, la competenza, alla fine pagano. Queste sono le parole chiave che mi sono sempre data. Mi faccia anche dire una cosa: come donna mi sono sempre sentita molto sostenuta, in primis dalle figure maschili della mia famiglia, mio padre che era medico, ha anche diretto il policlinico di Roma, e mio marito, un economista. Oggi la mia vittoria è una vittoria per tutte le studentesse, le ricercatrici, le professoresse e per tutte le operatrici sanitarie impegnate negli ospedali che lottano contro il Covid».

Ecco, il Covid. Anche la vita universitaria è stata stravolta. Aule chiuse, didattica col pc. Quali cambiamenti resteranno? E cosa ci aspetta nei prossimi mesi?

«Oggi siamo tutti in tele-didattica, ad eccezione delle matricole. Dobbiamo sperare che la pandemia si trascini il meno possibile. La didattica a distanza è un'opportunità per il futuro, per alcune attività, ma la presenza non può essere sostituita. Vivere l'università non significa solo andare a lezione. L'università significa anche contatti sociali, amicizie, discussioni, relazioni. Guardarsi negli occhi. È una cosa diversa».

Oggi in tante regioni, Lazio compreso, mancano medici da assumere per fronteggiare la pandemia. Il numero chiuso per la facoltà di Medicina è stato un errore?

«No, la medicina a numero programmato è la condizione per garantire la qualità nella formazione. Dobbiamo considerare sempre quante strutture si hanno a disposizione, i laboratori, le strutture cliniche. Non possiamo formare un numero illimitato di persone. Non mi piace dire numero chiuso, ma programmato: è proporzionale alle strutture».

Durante la campagna elettorale ha parlato di «gravi diffidenze verso la ricerca». Troppi virologi in tv e pochi nei laboratori?

«Non mi riferivo al coronavirus nello specifico, ma in generale. La società deve avere fiducia nella ricerca, è una leva strategica per il Paese. Mi preoccupa l'infodemia, le tante informazioni non completamente filtrate e validate che circolano, confondono e non mettono in giusta luce i veri dati scientifici. La ricerca, dicevo, è una leva strategica e va finanziata a dovere».

Finora è stata finanziata poco?

«Assolutamente sì. Quest'anno c'è stato un micro incremento, un timido miglioramento insomma rispetto al passato, ma mi auguro maggiori finanziamenti in futuro».

Alla Sapienza da studentessa è stata rappresentante degli studenti. Che ricordi ha degli anni da matricola? «Ricordo la gioia di quelle giornate. Pensi, con i venti compagni di corso sono ancora in contatto, anche se sono sparsi in vari ospedali italiani e anche all'estero. Oltre che studiare, siamo diventati amici e lo siamo rimasti. A proposito di quello che dicevo prima: l'importanza di essere in presenza».

La prima telefonata dopo la nomina?

«A mio marito e ai miei figli».

Come affronterà la Sapienza le sfide dei prossimi anni e la competizione con gli altri grandi hub universitari del mondo?

«La chiave è l'internazionalizzazione, lavoreremo oltre che sulla quantità anche sulla qualità. Siamo il più grande ateneo d'Europa, ora la sfida è portare avanti una ricerca che valorizzi le eccellenze che abbiamo all'interno del nostro ateneo. Speriamo di attrarre sempre di più studenti eccellenti».

La prima mossa che farà?

«Mi ci faccia pensare una notte».

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