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Donne e potere, un altro genere di leadership è possibile. «Ascolto, empatia e rispetto: non adeguarsi ai modelli maschili»

di Maria Lombardi Gabriele Rosana
Articolo riservato agli abbonati
Mercoledì 25 Gennaio 2023, 11:18 - Ultimo agg. : 26 Gennaio, 13:21
7 Minuti di Lettura

Se il capo alza la voce, è «tosto».

Ascolta: Pimenta, la procuratrice di Ibra, Pogba e Donnarumma: «Di certe cose i giocatori parlavano con Mino, di altre solo con me»

Se la capa fa lo stesso, «isterica». Lui si fa valere, è «autorevole», lei «una boss». Lui si impone, «deciso», lei «prepotente». Lui si infuria, «severo», al massimo «rompipalle», lei «fragile». Lui si dimette, «coraggioso», mentre lei «non ce la fa». Carini, vero? La vita delle donne al comando è così, faticano di più per arrivare in alto e una volta lì capita anche di sentirsi schiacciate dal peso delle parole. Esaurito il repertorio dei commenti acidi, comincia quello delle domande fuori luogo che nessuno rivolgerebbe mai a uomini pari grado. Tipo: complimenti per la nomina, ma come riesce a conciliare il lavoro con la famiglia? Per la carriera, ha dovuto rinunciare alla vita privata? quando è in viaggio per lavoro, chi si occupa dei bambini? E guai a sbottare, si ricomincia: isterica, fragile, non ce la fa.

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I NUMERI

Ok, nessuno si aspetta gli applausi, quelli si conquistano sul campo e non basta essere le prime donne a capo di qualcosa per meritarli. E presto, ci si augura, faranno solo sorridere - e non più irritare - gli aggettivi cattivelli e carichi di pregiudizi che hanno accompagnato l’ascesa di lei. Intanto quelle parole ci dicono che il capo è ancora per lo più lui e lo stile di comando è rimasto al maschile. Che ne è della leadership femminile, di quel modo di guidare aziende e istituzioni diverso, rivoluzionario? Chi si aspettava il “terremoto” ai piani alti, dovrà aspettare ancora. Troppo poche, finora, le donne ai vertici per poter cambiare da sole schemi così vecchi e radicati. Bastano tre numeri a dare l’idea. Nelle aziende italiane le ceo sono appena il 3 per cento, le rettrici 10 su 84, e in Europa ci vorranno ben 107 per superare il gap di rappresentanza in politica. Comprensibile che le “arrivate”, per restare dove sono, tendano a fare le “maschie”, come si dice, e non è un complimento. «Leadership femminile e leadership delle donne non necessariamente coincidono», sottolinea Simona Cuomo (Associate Professor of Practice di Leadership, Organization & Human Resources presso SDA Bocconi School of Management e coordinatrice dell’Osservatorio Diversity&Inclusion) che ha scritto il libro “Essere leader al femminile”. «La prima è caratterizzata da valori come inclusione, rispetto, empatia e ascolto. Ma non è detto che le donne adottino uno stile di leadership femminile e gli uomini invece no. Pensavamo che le donne, una volta al potere, avrebbero cambiato il modello culturale. Finora non è stato così».

I RISULTATI

Questione di numeri e non solo. «Per sentirsi legittimate, ancora oggi le donne adottano i comportamenti tradizionali del capo, improntati alla performatività. Portiamo a bordo gli uomini, è così che si cambia. Modificare la cultura e l’organizzazione del lavoro, orientarla verso un modello più partecipativo, non può spettare solo alle donne. Spetta a tutti». Tanto più che scommettere sulla leadership femminile conviene, in tutti i sensi. Ricerche hanno dimostrato, ad esempio, che le aziende con almeno 3 amministratrici nei Cda hanno ottenuto performance migliori, e quando le donne sono più rappresentate ai vertici si alza il livello di istruzione e competenze, si abbassa l’età media. «Se nel gruppo di lavoro si dà più valore alle relazioni, si diventa più produttivi, più motivati e sereni», aggiunge Cuomo. «L’impatto più forte della leadership femminile si ha sulla sicurezza psicologica. Se non ho paura del giudizio, esprimo un pensiero divergente e non conformista. Tutto questo porta nei team creatività e innovazione». Siamo a una svolta, il mondo esige una nuova responsabilità. Prendersi cura è un’urgenza: degli altri, dell’ambiente, del tempo, del futuro. E chi meglio delle donne. Un peccato sacrificare questo talento. «Le donne leader ancora tendono a trattenere la loro intelligenza emotiva», sostiene Daniela Bonetti, direttrice della “Roberto Re leadership school” e autrice del libro “Leadership al femminile”. «Credono che mostrandosi vulnerabili e sensibili possano essere attaccate. Ma sono credenze limitanti, ci frenano. Tutti siamo fragili. Quelli che consideriamo i nostri punti deboli sono punti di forza. Usiamo la nostra parte emotiva per capire e sentire cosa succede intorno a noi, per avere una visione, per coinvolgere gli altri. Le caratteristiche della leadership femminile, rispetto a un modello più verticistico e controllante, possono fare la differenza». La femminilità come chiave del successo, dei singoli come della società. Già, ma che succede se lei molla? Jacinda Ardern, la premier neozelandese che qualche giorno fa si è dimessa, ha spiazzato tutti e diviso: chi ha elogiato il coraggio, l’arte di fare politica in modo diverso, e chi ha sottolineato la mancanza di responsabilità. Ma qualunque sia la ragione (famiglia o intimidazioni), «il caso della Ardern nell’immediato può essere un autogol per le donne, diranno: non ce l’ha fatta», sostiene Cuomo. «In realtà il suo gesto è l’esempio di una relazione sana con il potere». E in Italia? L’arrivo della prima donna premier in qualcosa ha già cambiato, è convinta Bonetti. «Giorgia Meloni mostra di avere un altro stile rispetto al comando maschile. Sta mettendo maggiore attenzione al benessere delle persone piuttosto che a quello individuale o del suo partito, è più impegnata a occuparsi degli altri che a mantenere il successo e soddisfare il suo ego con il potere».

L’EVENTO

Un altro genere di leadership è possibile, e in alcuni ambiti è realtà. Prendiamo la cultura. “Un altro genere di leadership”, è il titolo di un evento voluto da Chiara Sbarigia, presidente di Cinecittà, e Daniela Brogi, studiosa e autrice del libro Lo spazio delle donne (dal 2 al 3 febbraio a Roma, presso il complesso dell’Acquario Romano). A spiegare che un modello diverso è possibile saranno le stesse protagoniste, direttrici di istituzioni culturali, scienziate, leader del mondo della moda, del cinema, dell’architettura, della ricerca. Dalla regista Cristina Comencini alla direttrice di Rai Cultura Silvia Calandrelli, dall’attrice Cristiana Capotondi alla rettrice della Sapienza Antonella Polimeni, fino a Maria Pia Ammirati, direttrice Rai Fiction, tante voce di donne per narrare un modo di stare al comando fuori da stereotipi. «Ho ideato questo convegno per ripensare la narrazione del femminile in termini propositivi, dando visibilità e valore a quelle donne che con le loro storie di successo hanno incarnato una nuova consapevolezza di sé e un modo diverso di guidare i processi creativi e culturali», spiega Chiara Sbarigia. «Tutto questo sia per risignificare un paesaggio tradizionalmente deserto di presenze femminili, che per dimostrare, con queste storie, che le donne possono ricoprire ruoli di potere senza bisogno di adeguarsi a modelli maschili».

LA RICERCA

Conquiste e passi indietro, una lotta contro i numeri e il tempo. Sapete quanti anni ci vorranno, di questo passo, per colmare il gap nella rappresentanza politica delle donne in Europa? Ben 107 anni, secondo uno studio del CCRE, il Consiglio dei Comuni e delle Regioni d’Europa. Troppo. Il cambiamento va accelerato, a cominciare dalle città. Provate a immaginare un sindaco. Facile che venga in mente un uomo bianco tra i 50 e i 60. «In Europa su 166 città con più di 200.000 residenti, solo 31 sono guidate da donne», scrive Francesco Ripa, Policy Manager della LSE Cities, autore di una ricerca per l‘Agenzia europea dell’ambiente. Eppure, «gli studi condotti sulla diversità nel settore privato mostrano che le imprese con una maggiore rappresentanza di donne, minoranze etniche e culturali in posizioni di leadership ottengono risultati migliori», aggiunge Ripa. «Così pure la presenza di politici eletti con esperienze di vita e background più vari può rendere le nostre democrazie più affidabili, efficaci, eque e attrezzate ad affrontare le sfide odierne». E dunque, leader del futuro, è il momento di cambiare genere. 

© RIPRODUZIONE RISERVATA
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