Stupro nel parco verde di Caivano, disertata la messa di don Patriciello: «Temo per me e la mia scorta»

L'appello alla premier Meloni: «Venga qui dai bambini»

Pochi fedeli alla messa di don Patriciello
Pochi fedeli alla messa di don Patriciello
di Giuliana Covella
Lunedì 28 Agosto 2023, 00:00 - Ultimo agg. 14:39
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Una chiesa semideserta, pochi adulti per lo più anziani, qualche bimbo accompagnato dai genitori e gli “angeli custodi” di don Maurizio Patriciello. Mentre fuori il clima è teso per la presenza dei cronisti, l’interno della parrocchia di San Paolo Apostolo al Parco Verde di Caivano è quasi vuoto nel giorno della prima messa domenicale dopo che la notizia degli stupri subiti dalle due cuginette è diventata pubblica. Prima di indossare i paramenti il parroco ammette: «A 70 anni certe cose ancora mi stupiscono». Nel suo ufficio accanto alla sagrestia, che gli agenti di scorta non perdono mai di vista, il sacerdote ha l’aria preoccupata. «Se non fosse per quest’uomo - dice indicando la foto del capitano Antonio Cavallo, alla guida del locale comando dei carabinieri - qui non avremmo più speranze».

Una battaglia, quella che ha portato alla trasformazione della vecchia tenenza dell’Arma in comando, che si deve proprio a don Patriciello.

A lui che adesso ammette di essere «preoccupato» per la sua sicurezza e «quella della mia scorta». «La gente ha paura - continua - perché non è preparata a tutta quest’attenzione mediatica. Poi ognuno si sta preoccupando, specie chi ha figli minorenni e si chiede “non è che è coinvolto anche il mio”? In questa vicenda sono tutti vittime, non solo le bimbe ma anche quei ragazzini, a cui abbiamo rubato la gioia di andare incontro all’amore con gradualità e tenerezza. Questi ragazzi sono precipitati nell’inferno della sessualità più feroce che hanno imparato dalla pornografia online: vogliamo affrontare il problema una volta per sempre? La verità va sempre detta, in chiesa ancora di più. O non si fa perché gli adulti sono i primi a usufruire di questa porcheria?». 

«Le ho mandato un messaggio per chiederle di venire qui, perché il Parco Verde è Italia, i nostri bambini sono italiani». Durante l’omelia don Patriciello ha rinnovato l’appello lanciato l’altro ieri al premier Meloni. E invitando a salire sul pulpito Paolo, un piccolo parrocchiano, ha ricordato la visita che fecero qualche anno fa, con la comunità di Caivano, al presidente Mattarella: «Gli dicemmo “non vogliamo essere primi, ma nemmeno ultimi. Vogliamo solo essere normali”. Quella normalità qui la aspettiamo ancora», ha ribadito a gran voce. Riferendosi poi allo stupro delle due ragazzine, «una notizia che ha fatto il giro non solo dell’Italia, ma dell’Europa», il parroco ha parlato di una «comunità ferita» ai pochissimi fedeli presenti alla messa delle 10. Ma ieri non era una domenica come le altre al Parco Verde. Come non lo era quella che nel 2014 seguì la morte di Fortuna Loffredo, scaraventata dall’ottavo piano dopo essere stata abusata, ad appena sei anni. Nè dopo i fatti del 2015, quando una ragazzina macedone di 13 anni fu violentata da un branco di minorenni figli di boss e pochi anni dopo è morta per le conseguenze delle violenze subite. 

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«Essendo i bambini la maggior parte dei protagonisti di questa brutta storia - ha ricordato padre Maurizio - il discorso passa subito agli adulti. I bambini non hanno la possibilità di capire, di discernere, sono sempre innocenti. La domanda che dobbiamo farci allora è “che cosa noi abbiamo trasmesso loro”?». Da qui il richiamo alla «responsabilità»: «La maggiore ricade sempre sui genitori, ma siamo tutti responsabili, anche chi ha visto e fa finta di non sapere per non correre rischi». Poi l’affondo sull’assenza dei servizi sociali: «Qui non li vediamo mai, ma non per colpa di chi ci lavora. Se non funzionano è perché mancano i fondi». «Lo stesso discorso - aggiunge - vale per i femminicidi. La povera Anna Scala è stata uccisa a Piano di Sorrento dall’uomo che diceva di amarla. Eppure lei aveva denunciato, ma non è successo niente. Se ora una donna venisse da me e mi dicesse “padre, il mio compagno mi picchia” avrei il terrore di consigliarle di denunciare, perché se dopo non viene messa in sicurezza la denuncia lascia il tempo che trova». Per il sacerdote «il maschilismo è insito nella nostra società» e a dimostrarlo sono i fatti di Palermo: «in quella chat c’è un linguaggio orribile». Infine l’invito a unirsi: «La ricetta magica non ce l’ha nessuno, ma la parola magica sì. Si chiama “insieme”, perché solo così possiamo cambiare le cose, altrimenti non ha senso scandalizzarsi né indignarsi. Già essere qui oggi è la speranza. Il male non deve rimanere segreto perché si possa intervenire».

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