Caivano, il quartiere della morte: «Eravamo 14 amici, a 42 anni solo in due siamo vivi»

Complesso «provvisorio» dopo il sisma ‘80, è diventato roccaforte dei clan della camorra

La piscina abusiva in un’aiuola al centro del Parco Verde
La piscina abusiva in un’aiuola al centro del Parco Verde
di Adolfo Pappalardo
Sabato 26 Agosto 2023, 00:00 - Ultimo agg. 27 Agosto, 08:59
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Da mesi ci sono sacconi di amianto sotto sequestro che qualcuno dovrebbe venire a prendere. Accanto a una piscina abusiva in un’aiuola e a fari allacciati all’illuminazione pubblica. Accanto il palazzo dove la piccola Fortuna Loffredo, nove anni fa, a sei anni fu stuprata e spinta giù dall’ottavo piano. E ancora più accanto quello dove abitavano le due cuginette vittime di violenza sessuale di un gruppo di almeno una ventina di ragazzi. Tutto in una manciata di pochi metri che raccontano il degrado, l’estremo degrado se non l’orrore, di questo rione. 

«Sono le palazzine Iacp, accade sempre tutto lì...», racconta una donna come a rimarcare una distanza ideale che non c’è. Dai balconi si sente musica neomelodica sparata a palla e in strada non c’è anima viva. D’altronde qui, in questo angolo di mondo, tutto rimane chiuso nelle case. Compreso lo spaccio che ormai si è tolto dalla strada per chiudersi negli appartamenti occupati proprio per questo scopo. E sequestrato uno dalle forze dell’ordine si attende solo di occuparne un altro. D’altronde su 600 alloggi che dovevano essere provvisori (come lo sono tutte le cose in questo disgraziato Sud) giusto per accogliere i terremotati del 1980 di Napoli, più della metà non si sa nemmeno in mano a chi siano. È noto solamente che li gestisca la camorra e che, ovviamente, decide chi può abitarci.

Pagando, ovviamente. E nessuno ha mai parlato di smantellare questo parco. Figuriamoci. 

«Il degrado chiama altro degrado», dice don Maurizio Patriciello, il parroco costretto a vivere sotto scorta dopo una serie di minacce e una bomba carta sull’uscio della sua chiesa, avamposto di legalità e speranza in questo quartiere dove la gioventù è perduta. «Sono addolorato ma non sorpreso», dice alzando le mani al cielo il parroco. «Qui si è rinunciato a tutto: compreso educare i ragazzi. Questo è un dramma che si porteranno tutti dentro: le due ragazzine ma anche chi ha perpetrato la violenza. Sono tutti vittime di questo luogo in cui sono state ammassate tutte le povertà. Spero solo non accada una guerra tra le famiglie coinvolte che vivono tutte a pochi passi in questo quartiere maledetto». A due passi da Napoli anche se appare lontanissima. Ma d’altronde è lontana pure Caivano da questo rione costruito nel nulla a ridosso della statale che porta a villa Literno. 

«Già conosco quale sarà l’epilogo». Quale? «Di questa vicenda se ne parlerà qualche giorno poi tutto verrà dimenticato in attesa di un altro dramma. Come accadde - continua il sacerdote - con la piccola Fortuna. La madre, una donna coraggiosa, chiese pubblicamente solo una cosa: “Ho altri due figli, datemi una mano ad andare via da qui”. Non è successo nulla, nessuno l’ha aiutata». Se non questo coraggioso sacerdote: «Grazie ad un mio collega ora vive e lavora in Emilia Romagna ed il figlio si è diplomato». 

Si è salvata perché è scappata via. Da quest’inferno in cui è inutile anche denunciare. «Qui vicino c’è un centro sportivo con piscine e un teatro abbandonato da anni. Chi doveva tutelarlo? Denuncio da anni, nessuno mi ascolta», accusa sempre don Maurizio. 

 

Già. È dall’altro lato della statale e ci sono i sigilli dell’ultimo sequestro dei carabinieri. È un luogo dell’orrore. C’è chi va a gettare rifiuti nocivi, ci sono i tossici che vanno a bucarsi, e a volte, ci muoiono pure. E, dice a mezza voce qualcuno qui nel parco, è uno dei luoghi dove sarebbero state abusate le ragazzine. Un’altra zona persa e degradata in questo quartiere maledetto dove la speranza è morta. Specie se, raccontano le inchieste, si viene a scoprire che per anni il boss di queste piazze di spaccio operava tranquillamente grazie ad un carabiniere infedele a passargli notizie di blitz ed arresti. Scenari messicani in questo angolo di mondo in cui il riscatto sembra lontanissimo. Nemmeno la speranza di un progetto di riqualificazione urbana se al comune si susseguono più commissari prefettizi (l’ultimo è di appena 3 settimane fa) che sindaci eletti. 

«Il mare, il mare: non avevano mai visto il mare. Ma può un bambino crescere così?», si domanda Bruno Mazza che guida l’associazione «Infanzia da vivere». Orti sociali, doposcuola, laboratori e un po’ di sport per i ragazzi del quartiere «che se non vengono seguiti fanno una brutta fine». E Bruno è uno di questi: stava per farla anche lui una brutta fine ma con un colpo di reni si è rialzato. Ha 43 anni e si è fatto 12 anni di galera dove è entrato con la quinta elementare ma è uscito diplomato.

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«Eravamo 14 ragazzi, tutti amici e tutti cresciuti qui: siamo vivi solo in due. Gli altri - racconta - chi per droga, chi per una pistolettata sono morti tutti. E non può essere solo una disgraziata coincidenza», racconta Mazza mentre una troupe Usa attende per intervistarlo per il suo progetto di riscatto del quartiere. Non senza intoppi se una volta gli hanno incendiato il pulmino o l’uscio dell’associazione nata grazie dalla Fondazione per il Sud di Carlo Borgomeo che ha creduto in lui. «Dopo il carcere ho capito che serviva fare qualcosa per i ragazzi: seguirli, dargli una speranza. Altrimenti sono già persi. Ed è nata questa associazione», racconta lui, che con un pulmino una volta al mese, d’estate, porta i ragazzi in Cilento a fare una lezione di vela. «L’ultima volta, a luglio, erano 25. E 8 di loro, a quasi 9 anni, non avevano mai visto il mare. Ma si può essere ragazzi senza aver mai visto il mare?».

No, non si può.  

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