Campania, il 46% a rischio povertà: è la Regione peggiore d'Europa

Nuovo indicatore fissato per l'analisi Eurostat: pesano i divari territoriali

Una mensa dei poveri
Una mensa dei poveri
Marco Espositodi Marco Esposito
Giovedì 15 Giugno 2023, 00:00 - Ultimo agg. 18:33
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Non bisogna andare lontano. Per trovare il posto d’Europa dove ci sono più persone a rischio povertà o esclusione sociale bisogna andare in Campania. Quasi una persona su due, il 46,3 per cento, o ha un reddito particolarmente basso, oppure ha un lavoro insufficiente, o ancora è in condizioni di deprivazione perché non riesce a pagare le bollette, a cambiare le scarpe, a sostituire un mobile fuori uso con uno magari usato ma funzionante.

A misurare il nuovo indicatore di povertà (che guarda più a fatti oggettivi che al livello del reddito) è Eurostat che ieri ha diffuso per la prima volta l’analisi aggiornata al 2022, in vista del programma Strategia Europa 2030, che ha come primo dei diciassette obiettivi proprio «sconfiggere la povertà». Così sappiamo che 95,4 milioni di europei, più di uno su cinque, vive in condizioni di gravi difficoltà, di cui 14,3 milioni in Italia.

La situazione italiana non è molto peggiore di quella media dell’Unione europea a 27 (24,4% a rischio contro 21,6%) ma al solito sono i divari territoriali a fare la differenza. Nella graduatoria regionale, l’Italia spicca sia con tre delle migliori dieci (Umbria, Emilia Romagna e Valle d’Aosta con valori intorno al 10%), sia con tre delle peggiori dieci (oltre alla Campania, ci sono Calabria e Sicilia con valori oltre il 40%). Al di fuori del Mezzogiorno, le aree più povere d’Europa sono nelle regioni periferiche di Romania e Bulgaria mentre i territori peggiori della Grecia o della Spagna non sono paragonabili a quelli del Sud Italia.

L’Attica per esempio ha una situazione sociale migliore del Lazio: cinque punti in meno. Dalla rilevazione di Eurostat mancano ancora i dati con il dettaglio regionale di Francia, Germania e Belgio, i cui valori nazionali sono intorno al 20% a conferma che ovunque c’è quota di popolazione a rischio di esclusione sociale. 

Ma come funziona il nuovo indicatore? Si parte da tre indici: povertà in senso stretto, bassa intensità di lavoro e grave deprivazione materiale e sociale. La povertà si misura in percentuale del reddito medio di ciascun Paese e si applica a ogni nucleo familiare, tenendo conto della numerosità. In Italia per il 2022 la soglia per la persona singola è di 930 euro al mese, quindi più alta del Reddito di cittadinanza, e in Campania si trovava in questa situazione il 37% dei residenti, peggior dato nazionale contro una media del 20%. La «bassa intensità di lavoro» indica le famiglie nelle quali le persone in età da lavoro (definite come in età 18-64 anni, esclusi gli studenti e chi è già in pensione) hanno lavorato per meno del 20% dei mesi teoricamente possibili. Quindi per esempio una coppia di trentenni convivente ha a disposizione in un anno 24 mesi di lavoro e se in tutto ne lavora meno del 20% (cioè meno di 5 mesi) allora rientra nella categoria a rischio.

In Campania sono in tale situazione 22 persone su 100 (record negativo nazionale) contro una media italiana del 10%. Infine la «grave deprivazione materiale e sociale» registra le persone colpite da almeno sette “segnali” in una lista di undici. L’elenco è diviso tra segnali familiari, tra i quali non potersi permettere sette giorni di vacanza fuori casa all’anno, essere in arretrato sul pagamento di bollette, non poter riscaldare l’abitazione o possedere un’automobile o ancora cambiare mobili di casa ormai danneggiati o fuori uso. Gli altri segnali sono individuali: non poter cambiare abiti consumati, o due paia di scarpe, oppure non poter andare a bere o a mangiare qualcosa con gli amici almeno una volta al mese. Si trova in tale situazione critica il 14% dei residenti in Campania (anche in tale caso peggiore livello nazionale) cioè il triplo della media del 4,5%.

L’obiettivo di tali indicatori materiali è sganciarsi il più possibile dal tema del “differente costo della vita” che spesso inquina il dibattito tra Nord e Sud. Si sostiene infatti che nel Mezzogiorno la povertà è gonfiata perché in realtà le cose costano meno e quindi si può vivere agiatamente anche con stipendi bassi. Ma chi non possiede «due paia di scarpe in buone condizioni per tutti i giorni» è in una condizione di esclusione sociale indipendentemente dal prezzo delle calzature.

Il nuovo indicatore europeo di povertà o esclusione sociale dovrebbe orientare da qui al 2030 le politiche di ciascuna nazione per ridurre le fasce di emarginazione. L’Istat, nel diffondere il suo rapporto sul 2022, ha ricostruito gli anni precedenti per consentire un confronto (altrimenti impossibile con i precedenti criteri statistici) grazie al quale sappiamo che in Campania la situazione è persino migliorata rispetto al 49,4% del 2021, anno però appesantito dagli effetti del Covid, mentre è al di sopra del 43% del 2017. 

 

In tale quadro è immediato interrogarsi sull’efficacia o meno del Reddito di cittadinanza. L’Istat affronta il tema tuttavia fermando l’analisi al 2021, quindi a due anni fa. L’Istituto di statistica osserva che il 20% di famiglie italiane più ricche aveva 5,6 volte il reddito del 20% delle famiglie più povere, un rapporto peraltro stabile rispetto al 2020. Ma se non ci fosse stato il Reddito di cittadinanza la diseguaglianza sarebbe salita a 6,1 volte e se nel 2021 non ci fossero state anche le misure straordinarie di sostegno alle famiglie per il Covid 19, l’indicatore di diseguaglianza sarebbe cresciuto a 6,4 volte. I sussidi però dovrebbero coprire solo le situazioni estreme o d’emergenza. Per il resto dovrebbe aumentare la quota di chi lavora e in Campania il tasso di occupati, soprattutto quello femminile, è lontanissimo da qualsiasi strategia europea. Non si può che iniziare da qui. 

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