Esiste un antidoto alla violenza, alla rabbia, alla più cieca ferocia?
Dopo il cruento assassinio dell’homeless Frederick Akwasi Adofo da parte di due sedicenni a Pomigliano d’Arco, è legittimo porsi questo genere di domande. È necessario interrogarsi sul male e sulla sua natura inquietante, inquinante, latente. È lecito indagare il legame causale tra adolescenza e rabbia omicida, tra dolore e oppressione, tra la vita e il potere di porle fine.
Ma un antidoto alla violenza già commessa non esiste, non si può restituire la vita a chi l’ha persa.
Una terapia contro la violenza è stata già creata. Ne è promotrice la Comunità di Sant’Egidio con le sue Scuole della Pace, straordinarie realtà educative diffuse in quattro continenti che ogni anno coinvolgono più di 70.000 giovani nel processo del cambiamento.
È una rivoluzione silente eppure assordante quella di cui sono protagoniste le Scuole della Pace. Il loro obiettivo è tutelare i diritti dell’infanzia e dell’adolescenza, supportando istruzione, socializzazione, commistione culturale e sociale, educazione sanitaria, integrazione all’alimentazione, nonché sostegno affettivo. Uno strumento essenziale quindi per contrastare fenomeni emergenziali quali dispersione scolastica, emarginazione sociale, povertà espressiva ed educativa, solitudine, cultura del nemico e discriminazione.
Sono numerosi i centri diffusi sul territorio partenopeo. Distribuiti tra Scampia, Sanità, Quartieri Spagnoli, Centro storico, Aversa, San Giovanni e Ponticelli, accolgono da più di quaranta anni bambini e adolescenti di origine variegata. Non solo napoletani quindi, ma anche “nuovi europei” a cui si offre la possibilità di una effettiva integrazione culturale e sociale all’insegna della scoperta e della valorizzazione della diversità.
In queste aree, i volontari della Comunità di Sant’Egidio lottano per sottrarre i ragazzi a un destino troppe volte già scritto. Nel quartiere di Scampia, la prima Scuola della Pace è sorta nel 1978 sostituendo un luogo di spaccio e violenza urbana.
Collocate in una città segnata da episodi di guerriglia urbana, aggressioni fisiche e lotte tra babygang, nonché teatro del primo omocidio violento di un giovane della pace, Gigi Cangiano, le Scuole della Pace di Napoli offrono una preziosa alternativa alla strada dei soprusi e della legge del più forte.
In primo piano una schiera di volontari impegnati nell’educazione dei giovani. Operatori di ogni età e background accomunati dalla volontà di offrire un futuro migliore a questi bambini. Sono Patrizia Mascolini e Andrea Longo a farsene portavoci ai nostri microfoni.
Si tratta di un percorso caratterizzato dall’ascolto, la condivisione, la scoperta di sé e degli altri, la ricerca del famoso “chi e cosa, in mezzo all’inferno, non è inferno”. Uno spazio sicuro in cui bambini e ragazzi di ogni età possano sentirsi liberi di esprimersi, di conoscere e conoscersi, di cambiare sé stessi e il mondo che li circonda. Perché, come sosteneva Italo Calvino, “l'inferno dei viventi non è qualcosa che sarà”, ma “è quello che è già qui, l'inferno che abitiamo tutti i giorni, che formiamo stando insieme". Ma a ogni inferno corrisponde un non-inferno, e così per ogni sopruso ci sarà sempre un gesto di pace, un seme di rinascita e speranza a sfumarne il grigiore.
“La scommessa è la stessa: una bambina e un bambino, se protetti e amati, se educati a non temere l'altro, a conoscere chi è diverso da sé, per quante difficoltà incontrino nella vita, saranno una donna e un uomo migliori, capaci di avere rapporti equilibrati con gli altri, di sopportare le sconfitte, di controllare i propri impulsi aggressivi, ma soprattutto di amare a loro volta, di rigettare la violenza, di riconoscere e scegliere il bene, di vivere in pace con tutti.” (Dal libro “Alla scuola della pace. Educare i bambini in un mondo globale”)