Coronavirus, Tina da Napoli a Salerno:
«Ma pesa solo mantenere le distanze»

Coronavirus, Tina da Napoli a Salerno: «Ma pesa solo mantenere le distanze»
di Melina Chiapparino
Venerdì 20 Marzo 2020, 08:30
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«Per emergenza Covid si recluta personale». C'era scritto questo sulla mail arrivata a Tina Alfarano poco più di una settimana fa. Dopo otto anni trascorsi da infermiera precaria al pronto soccorso dell'ospedale Cardarelli, la 33enne napoletana, è stata catapultata nelle corsie del San Giovanni di Dio Ruggi d'Aragona a Salerno. «Il mio ultimo giorno di lavoro è stato il 31 gennaio ma non ho pensato neanche per un attimo di starmene con le mani in mano - racconta Tina - ho accettato un posto come operatrice socio sanitaria al Santobono e poi è arrivata la chiamata per l'emergenza Covid-19». Il suo reclutamento, come quello di molti altri infermieri precari, attinge da una graduatoria che, fino a oggi, era rimasta bloccata ma anche stavolta, come accaduto in passato, il contratto durerà tre mesi, eventualmente rinnovabili. «Quello che mi interessa è poter fare il lavoro che amo e sentirmi utile perché riesco almeno ad alleviare le sofferenze e le paure dei pazienti» spiega la giovane donna sottolineando che «oramai, la precarietà è diventata un'abitudine». Eppure nonostante la passione e la voglia di dare il massimo nel reparto di Pneumologia, dove ora Tina lavora, un po' di amarezza c'è. «Questo è il momento in cui dobbiamo dedicarci anima e corpo all'emergenza anche se, per chi è in trincea come noi, si tratta semplicemente di fare un po' più di attenzione - spiega l'infermiera - ma spero che le istituzioni si ricorderanno dell'operato di tutti i sanitari e anche di chi, come me, è precario da sempre». Nel frattempo, con l'incalzare dell'emergenza, la vita di Tina comincia a scorrere con ritmi e abitudini diverse sia sul lavoro che a casa. «In reparto sono potenziate tutte le norme di sicurezza e indossiamo i dispositivi di protezione che ci sforziamo di conservare per le situazioni a rischio perché la quantità non è sempre sufficiente - racconta la 33enne - abbiamo due stanze di isolamento dove ricoveriamo i pazienti sospetti che vengono sottoposti ai tamponi». Ma l'aspetto più faticoso e frustrante per chi come Tina è abituata da sempre «a combattere e dare il massimo per i suoi pazienti», è la distanza.
 
 

«Le nostre modalità di approccio sono necessariamente cambiate - spiega - quando ci sono pazienti sospetti o con sintomatologie compatibili al Covid- 19, dobbiamo mantenere le distanze e per chi è abituato al contatto umano, questa è una sofferenza». Sempre più, gli occhi di chi arriva in reparto sono spaventati e anche le domande dei pazienti, spesso riflettono le preoccupazioni «di venire intubato oppure non poter più respirare». «Il nostro compito è assistere i pazienti ma anche rassicurarli e non farli sentire soli perché spesso, soprattutto chi è positivo al virus o è in attesa di tampone, si sente mortificato» continua a raccontare Tina mentre tra i suoi ricordi le viene in mente un paziente. «Ho dato da mangiare a un anziano di cui attendevamo l'esito del tampone - spiega commossa - c'è stato un momento di grande tenerezza perché lui cercava di non parlare e si allontanava, preoccupato di contagiarmi ma ho cercato di tranquillizzarlo, siamo protetti e preparati ad assisterli».
 

Quella distanza che ha in qualche modo, inciso sul lavoro, Tina la subisce anche tra le mura domestiche. «L'unica grande sofferenza di questa condizione è più mantenere le distanze dal mio compagno, quando rientro a casa». È qui che il senso di responsabilità di Tina prende il sopravvento sul cuore. «Quando arrivo a casa, mi lavo immediatamente e lascio le scarpe fuori la porta ma non bacio il mio compagno e mantengo le distanze» conclude l'infermiera che ha conosciuto il fidanzato proprio in un reparto dove lui era ricoverato. «Lui ha già sofferto e non metterei mai a rischio la sua salute per l'amore immenso che ci lega». 
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