Coronavirus a Napoli, il medico ammalato: «Da primario a contagiato, ho sempre diretto il mio reparto»

Coronavirus a Napoli, il medico ammalato: «Da primario a contagiato, ho sempre diretto il mio reparto»
di Giuseppe Crimaldi
Domenica 12 Aprile 2020, 09:30
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«Ho vissuto e continuo a vivere l'emergenza in varie vesti. Nella prima fase sono stato consulente delle istituzioni dando una mano nel delineare scenari presenti e futuri per fronteggiare l'epidemia. Nella seconda mi sono trovato dall'altra parte della barricata: sono stato contagiato ancor prima che il reparto aprisse. Sono anch'io diventato un paziente, e sono attualmente in via di guarigione». Ivan Gentile, direttore della Unità operativa complessa di malattie infettive del Policlinico Federico II, racconta al Mattino lo sdoppiamento, imprevisto e drammatico, della sua esistenza. Dopo un mese dall'essere risultato positivo al virus, oggi è guarito e - seppur ancora in convalescenza - resta in prima linea con i suoi collaboratori.
 


Come vive questa fase a distanza dal suo reparto?
«Prima di ammalarmi ho disegnato i primi percorsi per il nascente reparto Covid 19 del Secondo Policlinico con percorsi improntati ad una separazione delle aree pulito-sporco, alla formazione del personale, a rigide procedure volte a garantire la sicurezza degli operatori sanitari e alle migliori cure ai pazienti, unite ad un uso razionale dei dispositivi di protezione individuale. Poi ho provato e provo, dopo che la fase acuta della malattia è passata, a dare una mano ai miei colleghi del reparto di Malattie Infettive rimasti sul campo di battaglia, collaborando alla stesura dei protocolli per l'organizzazione del lavoro e per le strategie operative».

E quale situazione si registra oggi al Policlinico Federiciano?
«Ora, grazie al lavoro dei miei colleghi e collaboratori ed all'ausilio del direttore generale il reparto Malattie Infettive della Federico II è una solida realtà con 20 posti letto, di cui alcuni riservate alle gravide positive per garantire loro un percorso completo con l'ausilio della ostetricia-ginecologia e della neonatologia. Abbiamo creato un pool con il giusto mix tra l'esperienza dei medici con cui collaboro da anni e l'entusiasmo dei giovani assunti per combattere questa emergenza. Abbiamo pazienti di gravità medio-alta, mediamente di età avanzata e complessi la cui gestione richiede impegno costante per il quale speriamo di poter avere altri colleghi a supporto. A tutti i pazienti garantiamo il nostro massimo sforzo per provare a fornire loro il meglio dell'assistenza, ma con un'attenzione alla persona oltre che al paziente».

Cioè?
«Puntiamo all'umanizzazione delle cure, così essenziale in tutte le patologie e forse ancor di più in questa. E io, che sono passato per questa drammatica esperienza, posso testimoniarlo direttamente».

Qual è stata la sua esperienza da paziente?
«Ho vissuto direttamente questo dramma e posso testimoniare il quotidiano sforzo di tutto il personale delle Malattie Infettive per coniugare qualità delle cure, umanità e rigore delle procedure. Abbiamo portato umanità ed innovazione nel nostro lavoro. Abbiamo istituito un servizio di chiamate quotidiane ai familiari per informarli della salute dei loro cari. Abbiamo monitor che ci consentono di osservare a distanza i pazienti per controllare visivamente le loro condizioni. È integrato nel nostro organico un pool di anestesisti coordinato dal primario di Anestesia e Rianimazione che ci aiuta a gestire i pazienti più critici, come una sorta di terapia sub-intensiva, ma nel reparto di degenza. Somministriamo terapie antivirali ed immunomodulanti ai pazienti secondo le linee di indirizzo. Ma la cosa più importante è che stiamo registrando i primi guariti».

Professore, ci descriva la sua giornata.
«Provo ad utilizzare al meglio il tempo che ho anche per collaborazioni scientifiche: partecipo a vari protocollo di terapia approvati da AIFA, ma con alcune colleghi della Scuola di Medicina e Chirurgia dell'Ateneo Federiciano abbiamo impostato vari protocolli innovativi su diagnosi e cura di questa malattia. Ma non abbandono i miei collaboratori».

In che senso?
«A fine turno parlo con i miei collaboratori per conoscere lo stato di salute dei pazienti.
Tutti sono provati, ma felici di dare il loro contributo. Ciò che rende ancora unica questa malattia è lo stato di tensione ed il rischio che si corre lavorando, ma quello che ho visto in medici, infermieri, addetti alle pulizie sono visi con i segni fisici della mascherina e quelli non meno evidenti dello sfinimento. Sguardi stanchi, a volte pieni di lacrime, ma fieri, come fiero sono io di tutti loro e li ringrazio ad uno ad uno per quello che stanno facendo. Spero anche che il Paese non dimentichi il loro sacrificio». 

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