Geolier e i giovani di Gomorra: «Meno telefonini, più campi da gioco: restituiamo dei sogni a quei ragazzi»

«Il rap mi ha salvato dalla fabbrica, dalla strada mi hanno salvato i valori»

Emanuele Palumbo da Secondigliano, per tutti Geolier
Emanuele Palumbo da Secondigliano, per tutti Geolier
Federico Vacalebredi Federico Vacalebre
Martedì 5 Settembre 2023, 07:00 - Ultimo agg. 6 Settembre, 14:34
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Ha appena infiammato il pubblico di Benevento, Emanuele Palumbo da Secondigliano, per tutti Geolier, nome d'arte che viene dal francese, vuol dire «secondino». A chi, nei giorni in cui torna a galla la malanapoli per via degli orrori di Parco Verde e di piazza Municipio, lo tira per la giacchetta per i suoi versi risponde piccato: «Le canzoni non ispirano i criminali, come non lo fanno i film o le fiction, che quella realtà narrano. Io, poi, sono un rapper e racconto quello che vedo, quello che vivo», spiega lui, campione nazionale dell'hip hop, senza rinunciare ad un dialetto veracissimo.

La morte di Giogiò ti ha spinto ad una riflessione pubblica: «A 16 anni nessuno dovrebbe avere una pistola. Nei quartieri i ragazzi devono cambiare mentalità e scappare da tutto questo male», hai postato.
«E ci mancherebbe altro.

Un ragazzo ucciso senza motivo, colpito alle spalle, da un ragazzo ancora più giovane di lui, minorenne, che dopo aver sparato è andato a giocare a carte. E non basta, c'è di peggio».

C'è ancora di peggio?
«Sì, quella pistola. Non voglio sapere di chi era, perché c'era, il problema è che chi l'ha impugnata si sentiva bello e forte per quella pistola. E belli e forti, senza pistole, con un'altra violenza immonda, si sentivano gli stupratori di Parco Verde».

La pistola, il sangue, il branco... Tu hai 23 anni e hai dedicato il tuo ultimo disco a «Il coraggio dei bambini», pensando agli scugnizzi che sono cresciuti nelle tue strade, tra le Vele e l'asfalto divelto.
«Ci vuole coraggio ad essere bambini dove non ci sono sogni. A Secondigliano, a Caivano, nel centro storico di Napoli ci sono bambini che non sono mai stati bambini, che hanno perso l'innocenza col biberon, nel passeggino: chi non ha futuro non ha molto da perdere. Chi non ha paura di morire o di finire in galera, perché tanto sa che quella sarà la sua fine... fa paura, può non aver rispetto di una vita perché non ne ha una».

Il rap ti ha salvato dalla strada?
«No, mi hanno salvato mio padre, che a 70 anni ancora lavora, mi ha salvato mia madre, che dopo la scuola ha voluto che lavorassi. Mi ha salvato mio fratello, che mi ha offerto un impiego, ma ne avrei trovato uno comunque. Diciamo che il rap mi ha salvato dalla fabbrica, dalla strada mi hanno salvato i valori».

Eppure, sin da un inno come «P' Secondigliano», canti ragazzi di strada, status symbol e griffe ostentate proprio dal Sistema.
«Rappo quello che vedo, quello che vivo. Nei giorni dell'omicidio di Giogiò un attore che stimo, come Gianfranco Gallo, mi ha scritto una sorta di lettera aperta invitandomi a prendere posizione. L'ho fatto, l'avrei fatto anche senza di lui. Mi dispiace solo che se la sia presa con il mio look, può non piacere, ma nessuno è criminale per come veste, o perché ha visto Gomorra, in cui pure lui ha lavorato. La camorra pesca facile nei rioni dove non c'è niente se non la camorra».

Lo so che non si dovrebbe chiedere che fare a un ragazzo di 23 anni, ma... che fare?
«Togliete i telefonini di mano ai ragazzi, ma dategli qualcosa di meglio da fare. Mia nipote, una bimbetta, studia l'inglese, può sognare. Ecco: aprite campi di calcio, di basket, palestre, posti dove fare hip hop o qualsiasi altra cosa. A Scampia e criature si adeguano, crescono troppo presto».

Il governo vuole investire sulla scuola.
«È nelle strade che bisogna intervenire perché non si perdano per strada. Sono cresciuto nel rione, tra le palazzine, il dialetto era fico perché non conoscevamo l'italiano, non perché coscienti di avere una lingua culturalmente importante. A me, proprio a me, è capitato di partecipare ad un corso del San Carlo, di vedere il mio nome nella stessa riga del teatro San Carlo e di Salvatore Di Giacomo. I ragazzi di Parco Verde devono poter sognare. I ragazzi di Scampia devono poter sognare. E Giògiò doveva essere con noi a fare musica. Avevamo quasi la stessa età e lo stesso sogno, lui però aveva studiato musica, era andato al conservatorio, io ho trovato le mie rime nella mia cameretta, nella strada. Non è giusto morire così, ci sono troppe pistole nelle strade, troppi branchi violenti».

Mai rischiato di fare una brutta fine?
«No, mamma e papà mi proteggevano ed io avevo paura, oltre che valori. Però ne ho viste di cose che vorrei non aver mai visto: magari mentre facevo merenda. E mi passava la fame. Non so cosa si possa fare, ma se non vogliamo che si perdano ridiamo a quei ragazzi i sogni, il diritto al futuro, alla speranza». 

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