Giulio Giaccio ucciso e sciolto nell'acido: «Condannate a 30 anni i due assassini»

La requisitoria del pm per Salvatore Cammarota e Carlo Nappi

A processo i killer di Giulio Giaccio
A processo i killer di Giulio Giaccio
di Ferdinando Bocchetti
Mercoledì 8 Novembre 2023, 11:00
5 Minuti di Lettura

Ucciso per errore e sciolto nell'acido. Per l'omicidio di Giulio Giaccio, l'operaio 26enne assassinato il 30 luglio di ventitré anni fa, il pubblico ministero Giuseppe Visone, in forza alla Dda di Napoli, ha chiesto trent'anni di reclusione per Salvatore Cammarota e Carlo Nappi, già detenuti per altri reati e ritenuti dagli inquirenti esponenti di spicco del clan Polverino. La pubblica accusa ha inoltre formulato un'ulteriore richiesta: dieci anni di reclusione per Roberto Perrone, collaboratore di giustizia, per anni referente di Giuseppe Polverino nel comune di Quarto, presente nell'auto nel momento in cui il giovane di Pianura venne giustiziato.  

I mandanti dell'omicidio, Cammarota e Nappi, legati da vincoli familiari, hanno optato per il rito abbreviato: una strategia per evitare la condanna all'ergastolo. In aula, ieri, erano presenti i legali della famiglia Giaccio, costituitasi parte civile. «Giaccio prelevato da finti carabinieri»: è il pentito Roberto Perrone a raccontare, per la prima volta nel 2011, cosa accadde a luglio di ventitré anni fa. «Conducemmo il ragazzo in una Fiat Uno rossa, la stessa auto che in precedenza avevamo utilizzato per analoghi delitti.

Ci fingemmo militari dell'Arma e indossammo alcune pettorine. Prima di prelevare Giaccio, ero stato a casa di Salvatore Cammarota. Attraverso una scala segreta, mi recai successivamente nell'abitazione di Nappi. Con lui c'erano altri affiliati al clan». 

Pochi minuti dopo - racconta ancora Perrone - arrivò un uomo che riferì a Cammarota che il ragazzo che cercavano, un certo Salvatore, si trovava nei pressi di una bar della zona, a bordo di una moto Transalp rossa. Cammarota, a quel punto, mi disse di andarlo a prelevare nella zone delle Vaccarelle, tra Marano e Pianura, ma mi fece capire solo che avremmo dovuto dargli una lezione. Pensavo si trattasse di un pestaggio». 

È sempre Perrone a riferire ulteriori particolari della vicenda: «Dicemmo al giovane, che più volte fece presente di non chiamarsi Salvatore, di entrare in auto poiché avremmo dovuto eseguire un controllo di routine in caserma. Durante il percorso, un altro affiliato presente in auto, Raffaele D'Alterio (detenuto per altri reati e non indagato per il delitto Giaccio, ndr), disse a Giulio di chinare la testa, di appoggiarla sulle ginocchia e stare zitto. Pochi secondi dopo gli sparò a bruciapelo alla testa. Rimasi sconvolto».

La ricostruzione di Perrone è stata confermata, qualche tempo fa, anche da un altro importante collaboratore di giustizia, Giuseppe Simioli, alias «'o Petruocelo», per anni numero due del clan Polverino, arrestato nel 2017 in un casolare nel Lazio. «Durante il periodo della mia latitanza - riferisce Simioli - ebbi occasione di trascorrere molto tempo con Carlo Nappi e Giuseppe Ruggiero (nuovo pentito del clan, ndr). Nappi mi confidò di un omicidio avvenuto qualche anno prima relativo a un giovane dei Camaldoli. Mi riferì che furono lui e Cammarota a commissionarlo perché si riteneva che il ragazzo intrattenesse una relazione con la sorella di Cammarota. Una relazione ritenuta sconveniente perché la donna era divorziata. Il ragazzo fu ucciso per uno scambio di persona, su indicazione errata di un uomo vicino al clan. Di tale omicidio ne parlai anche con altri affiliati, in separata sede, che mi dissero, senza entrare nei dettagli, che c'era stato uno scambio di persona e che il ragazzo era stato sciolto nell'acido. Ne parlai anche con Giuseppe Polverino, il quale proferì parole durissime nei confronti di Nappi e Cammarota». 

Dopo l'uccisione, il corpo di Giulio fu trasportato in un'altra zona di Marano. La salma, sempre secondo il racconto dei pentiti, fu presa a calci da Cammarota e sciolta nell'acido. I resti vennero poi fatti sparire in una fenditura del terreno. È un terzo collaboratore di giustizia, Biagio Di Lanno, a riferire di un altro macabro particolare: «La dentatura di Giaccio non si era sciolta nell'acido e venne distrutta a colpi di martello». 

L'indagine sull'omicidio Giaccio, già riaperta nel 2015 dai pm Maria Di Mauro e Visone e grazie alla caparbietà dei carabinieri della prima sezione del nucleo investigativo di Napoli, arriva alla svolta con le dichiarazioni di Simioli, che confermano le precedenti ricostruzioni di altri pentiti, in particolare di Perrone, e consentono agli inquirenti di ottenere le misure cautelari nei confronti di Nappi e Cammarota. È il 21 dicembre di un anno fa quando i militari notificano gli atti ai due presunti mandanti. Gli imputati scelgono il rito abbreviato e propongono un risarcimento di 150mila euro, ma la famiglia Giaccio rifiuta: «Vogliamo solo giustizia». E legali di Nappi formulano richiesta per una perizia psichiatrica e il trasferimento in una clinica. Richiesta rigettata dal gip Giovanniello. La sentenza sul caso Giaccio sarà emessa a febbraio. 

© RIPRODUZIONE RISERVATA