Napoli, caso Arianna Flagiello: «Mia figlia volò dal balcone dopo le minacce del suo ex»

Napoli, caso Arianna Flagiello: «Mia figlia volò dal balcone dopo le minacce del suo ex»
di Leandro Del Gaudio
Lunedì 5 Giugno 2017, 13:56 - Ultimo agg. 14:04
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Ancora oggi, a distanza di quasi due anni dalla morte della figlia, ha un rimpianto che la assilla: «Quello di non avergli impedito di portarsi via la mia ragazza, di non aver interrotto quella sequenza di violenza che si stava consumando sotto i miei occhi e di aver lasciato che seguisse quell'uomo per l'ultima volta».

Ed è questo il motivo che spinge oggi una donna a presentarsi in aula, a sedersi davanti ai giudici e a fissare negli occhi l'ex convivente della figlia, imputato per istigazione al suicidio dinanzi ai giudici della terza Corte di Assise di Napoli. Risponde con fermezza alle domande del pm, parla per oltre un'ora e in un paio di occasioni fissa Mario Perrotta, il 34enne accusato di aver istigato Arianna Flagiello, sua ex convivente, a gettarsi giù dal balcone: a farla finita, a chiudere nel modo peggiore una storia di «amore malsano, anzi, di non amore», sempre per ripetere le parole della madre della vittima. Aula 116, Corte d'Assise, Angiola Donadio, maestra di scuola, si mostra lucida dalla prima all'ultima battuta. È la teste numero uno di un processo che punta a fare chiarezza sulla morte di una giovane donna dell'Arenella, sulla fine di una trentenne precipitata dal quarto piano.

Era il 19 agosto del 2015, quando Arianna decise di togliersi la vita. Figlia di una insegnante e di un ingegnere, espressione della buona borghesia cittadina, la ragazza si sarebbe gettata dal quarto piano del palazzo di via Montedonzelli in cui abitava, al termine dell'ennesimo litigio con Mario. Una lite alla quale aveva assistito la madre. Rappresentata dai penalisti Pasquale Coppola e Marco Imbimbo, Angiola Donadio ha deciso di costituirsi parte civile e in questi giorni ha ricostruito in aula gli ultimi momenti di una storia tormentata. Indagini del pm Giugliano (sotto il coordinamento del procuratore aggiunto Fausto Zuccarelli), l'accusa di maltrattamenti e di istigazione al suicidio prende forma proprio grazie alla testimonianza della madre della ragazza.

Soldi, sempre soldi - ripete in aula la teste - era un chiodo fisso per quell'uomo, sempre dedito alla palestra, privo di un'occupazione stabile. Lei, Arianna, aveva un posto di lavoro fisso, era dipendente di una casa editrice, mentre lui si arrangiava con lavori saltuari. Eppure, secondo la ricostruzione fornita ai giudici della terza assise (presidente Vescia), da parte dell'uomo c'era una continua richiesta di denaro. Soldi, soldi - ha insistito la donna - chiedeva sempre soldi. Era il motivo scatenante dei litigi che scoppiavano in seno alla coppia, che finivano solo quando la ragazza riusciva a raccogliere (anche grazie a prestiti contratti dalla stessa mamma di Arianna) e a girarli al suo compagno.

Ma torniamo a quel 19 agosto di due anni fa, torniamo all'ultima lite, alla causa del suicidio, secondo la Procura di Napoli. Spiega la donna, ripercorrendo gli ultimi istanti di vita della figlia: «Non mi pento di averla aiutata economicamente, fino a contrarre dei prestiti per assecondare le richieste di denaro del suo compagno. Le diedi anche in quell'occasione dei soldi, sapendo che anche in questo caso il litigio si sarebbe spento: finiva sempre così, quando gli arrivavano mille o duemila euro, la sua rabbia si placava e si tornava in una situazione di apparente calma. Fu così anche quella mattina, quando Arianna venne a casa mia (abitavo al piano di sopra), provai a farle capire che il suo era un amore malato, che non c'era nulla di sano in quella relazione, che comunque non si trattava di amore». Ma cosa accadde quel giorno? «Sentimmo il rumore dell'auto nel garage, mia figlia si affacciò e chiese a Mario di salire a casa mia. Entrò che aveva gli occhi accesi, uno sguardo da pazzo. Mia figlia, gli disse addirittura che io ero pronta a chiedergli scusa (sempre in relazione a un precedente diniego di denaro), mentre lui la zittiva dicendo che non doveva mettermi a conoscenza dei fatti loro».

Poi, l'epilogo drammatico: «Ebbi paura - spiega la donna - lui se la portò via, la strattonava per portarsela via da casa mia. Mi pento di non aver interrotto quella scena, di non aver costretto mia figlia a rimanere con me, ma confesso che ebbi anche un momento di sollievo, perché quell'uomo mi faceva paura. Fatto sta che decisi di seguirli, perché questa volta il litigio fu particolarmente violento». È il momento decisivo, anche in relazione a una frase finita a verbale e che la signora Angiola ha confermato la scorsa mattina dinanzi ai giudici di Corte d'Assise. «Mia figlia urlò Mario smettila, che mi fai male, se non la finisci mi butto giù dal balcone; e lui rispose sono io a buttarti giù dal balcone». Frasi immagazzinate mentre Angiola Donadio seguiva i due litiganti lungo le scale, fino a quando decise di bussare alla porta di casa dove viveva la coppia. «Accadde tutto in una manciata di secondi, ricordo che nella rampa di scale, avevo ancora le chiavi di casa in mano, incontrai anche la mamma di Mario. Poi fu lui ad aprire la porta e a sibilare poche parole: Arianna si è buttata giù dal balcone».

Fu ancora la mamma della vittima a chiamare i soccorsi e a stringere per l'ultima volta tra le braccia la figlia: «Lui invece lasciò la zona in auto, assieme alla madre, senza neppure provare il desiderio di abbracciare una donna con cui aveva vissuto per anni». Difeso dai penalisti Sergio Pisani e Maurizio Zuccaro, Mario Perrotta attende il suo turno, quando potrà ricostruire la sua versione dei fatti. Chiara la linea difensiva: dimostrare che quando la ragazza è volata giù dal balcone, Mario Perrotta era intento a contrastare l'ingresso della signora Angiola Donadio e «che il gesto della ex compagna era imprevedibile e sproporzionato rispetto a un banale litigio». In aula anche l'avvocato Giovanna Cacciapuoti, rappresentante dell'associazione «Salute donna», in una vicenda che ora fa i conti con il racconto dei testimoni. Si torna in aula a settembre, quando verranno ascoltati anche gli amici della coppia e gli inquilini di un palazzo dell'Arenella sconvolto dalla fine della bella Arianna. Una morte segnata - secondo la teste coraggio - da violenza e maltrattamenti, insomma da qualcosa che non aveva nulla a che spartire con l'amore.
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