Console Usa parla napoletano
«Ma che fatica la pronuncia»

Console Usa parla napoletano «Ma che fatica la pronuncia»
di Pietro Treccagnoli
Domenica 11 Giugno 2017, 08:10
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Ad agosto sarà un anno che Mary Ellen Countryman è arrivata a Napoli come console degli Stati Uniti. Nei suoi 25 anni di attività diplomatica ha girato mezzo mondo. Ma le è bastato poco per essere sedotta da Napoli, tanto che ha voluto immergersi completamente nella vitalità della città. E lo ha fatto diventando studentessa, cominciando a imparare la lingua napoletana, seguendo i corsi gratuiti di Davide Brandi e della sua associazione «Lazzari e Briganti».

Signora console, come nasce la sua curiosità per la lingua napoletana?

«Adesso che vivo a Napoli, vorrei cogliere ogni opportunità per approfondire gli aspetti puramente linguistici del napoletano, ma anche le abitudini e le tradizioni dei napoletani. Comunicare è fondamentale per poter condividere lo spirito di un luogo. Noi diplomatici di carriera studiamo sempre in anticipo la lingua del Paese dove saremo assegnati, quella ufficiale naturalmente ma il napoletano è una lingua così particolare e così bella che non potevo farmi sfuggire questa occasione».

Come ha saputo del corso?

«Il corso è offerto gratuitamente da Lazzari e Briganti. Alcuni dipendenti del Consolato l'hanno già frequentato e mi avevano parlato molto bene sia degli insegnanti sia della sede, Palazzo Venezia, un luogo ricco di fascino e di storia, come lo sono tanti altri palazzi del centro storico di Napoli».

Che cosa le piace di più della lingua napoletana?

«Anche se sono ancora una principiante e riesco a pronunciare solo poche frasi, il napoletano mi piace perché sembra che ti dia la possibilità di esprimere intere situazioni in pochissime parole. È molto sintetica. Ma l'elemento che mi attrae di più è la musicalità, resa famosa in tutto il mondo dalle canzoni».

Quali sono le maggiori difficoltà che incontra nello studio?

«È indubbiamente una lingua complessa, ma forse la difficoltà maggiore per me è la pronuncia, soprattutto di alcune vocali e consonanti doppie, anche perché mi manca l'ascolto quotidiano del napoletano. In ufficio, utilizziamo l'inglese o l'italiano».

Imparando la lingua rafforza il legame con la città di Napoli.

«Assolutamente sì. Anzi, una delle cose che mi ha molto sorpresa è che la maggior parte degli studenti di questo corso sono napoletani. Ho conosciuto persone molto simpatiche, estremamente ospitali e generose: uno di loro mi ha addirittura portato un libro in omaggio, un gesto del tutto spontaneo che ho apprezzato tantissimo. Ho anche percepito l'orgoglio di un popolo per le proprie tradizioni e per la propria cultura».

Si limita solo alla conoscenza della lingua?

«No, ogni settimana, dopo la lezione, c'è anche un momento più culturale, per scoprire espressioni tradizionali di danza o di musica. Sto imparando un po' della storia del Regno Borbonico. A questo proposito, mi piace segnalare che la nascita del nostro Consolato Generale risale proprio a quel periodo, esattamente al 1796».

Che cosa l'appaga di più di questo studio?

«Adesso comincio a capire meglio gli accenti della gente che incontro sul Lungomare. Anche se non parlerò mai correntemente il napoletano, questo corso è una delle esperienze più belle che sto vivendo a Napoli. Lo consiglierei sicuramente sia agli stranieri che conoscono già l'italiano sia ai napoletani doc».

Conosceva qualcosa della lingua e delle tradizioni napoletane prima di decidere di studiarle?

«Qualcosa sì, tramite la musica (le canzoni napoletane, e anche quelle di uno dei miei cantanti preferiti, Pino Daniele). Poi, per esempio, io sono sempre stata interessata a studiare le tradizioni gastronomiche locali, e durante le festività di Natale e Pasqua, ho avuto l'opportunità di conoscere alcuni piatti come il casatiello, la minestra maritata, gli struffoli. Mi affido ai colleghi napoletani del Consolato per imparare il vero significato dei tanti proverbi e modi di dire che sento spesso».

Lei cita le canzoni napoletane, ne conosce anche qualcuna?

«Certamente. Non dimentichiamo che O sole mio è stata incisa anche dal re del rock, Elvis Presley. Mi sembra interessante che nelle tradizioni musicali ci sia un grande legame tra Napoli e gli Stati Uniti. Renato Carosone per primo ha saputo cogliere la novità dei ritmi americani e inserirli nella lingua partenopea (Tu vuò fà l'americano è tra le mie preferite). E c'è Pino Daniele e le influenze blues di molte sue canzoni. Ho conosciuto e amato la sua musica durante i miei primi viaggi in Italia, quando Pino cominciava a diventare famoso in tutto il Paese. In occasione del documentario a lui dedicato, proiettato al Teatro San Carlo il 19 marzo, c'ero anche io, non potevo mancare».


C'è qualche frase, qualche parola, qualche tradizione che l'ha particolarmente stupita o divertita?

«Ogni giorno ne scopro una nuova.
Come ad esempio: perché in napoletano non si dice mai grazie mille ma grazie assaje. O che appoggiare la borsa sul letto non porta bene oppure che il sale grosso lanciato dietro le proprie spalle è un gesto, diciamo, riparatore. Mi ha incuriosita, e vorrei approfondire ulteriormente, la figura di Pulcinella. Quando, dopo una delle nostre lezioni, l'ho vista interpretata da un bravo attore che, con la maschera e i gesti, accompagnava una recita di poesie napoletane, mi sono resa conto che stavo osservando una variante moderna del patrimonio artistico-teatrale dagli antichi greci fondatori di Partenope. Stupendo».
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