Napoli, i killer entrano in casa e si lancia dal balcone: raid in stile “Gomorra”

La vittima apre la porta ai suoi carnefici e ai primi colpi tenta una fuga disperata

Il luogo del dramma
Il luogo del dramma
di Giuseppe Crimaldi
Domenica 21 Gennaio 2024, 23:51 - Ultimo agg. 23 Gennaio, 07:31
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Ha aperto la porta ai suoi carnefici, persone delle quali doveva evidentemente fidarsi, senza esitare nemmeno per il fatto che il campanello della porta di casa avesse squillato nel cuore della notte. Solo quando ha visto che gli veniva puntata in faccia una pistola, soltanto allora Raffaele Cinque ha capito che quegli ospiti erano arrivati per ucciderlo, e mentre veniva ferito in diverse parti del corpo ha tentato una fuga disperata, raggiungendo la cucina e lanciandosi nel vuoto dal balcone. Sembra la sequenza di una fiction in stile Gomorra, invece è un tassello reale degli orrori che si consumano nella città sempre più violenta.

La morte ha bussato intorno all’una della notte tra sabato e domenica nella casa di via dello Scirocco abitata da Cinque, 50 anni, nome noto alle forze dell’ordine, un “curriculum” giudiziario contrappuntato da una sfilza di reati contro la persona e contro il patrimonio, personaggio che le informative di polizia giudiziaria indicavano come vicino - ma non organico - agli ambienti camorristici del clan Contini.

Un omicidio pieno di misteri. Ancora tante le domande che non trovano risposta, e sulle quali si interrogano gli agenti della Squadra Mobile di Napoli guidata da Alfredo Fabbrocini. 

Cinque è volato giù dal balcone di casa per sfuggire ai sicario (o al sicario): questo è forse il solo dato certo che disegna la tragica dinamica degli eventi racchiusi in quella manciata di secondi che vanno dal momento in cui la vittima ha aperto la porta all’assassino a quello dei colpi di pistola che hanno allarmato l’intero condominio. Fino al punto finale, l’epilogo della caduta nel vuoto.

Ma ricapitoliamo, procedendo con ordine. E partiamo dalla fine: da una telefonata anonima fatta alla centrale operativa della Questura di Napoli (quasi sicuramente partita da uno degli stessi condomini del palazzo), che segnala la presenza di un uomo morto nell’androne dell’edificio, seguita all’esplosione di numerosi colpi d’arma da fuoco, una pistola calibro 7,65. Otto, stando a una prima ricognizione effettuata sul posto dagli esperti della Polizia Scientifica. 

Quando sul posto arrivano le prime Volanti, i poliziotti trovano il corpo senza vita di Cinque: il 50enne indossava il pigiama e presentava alcuni fori di proiettili alle spalle. Difficile ipotizzare se la causa della morte siano stati i colpi di pistola o la caduta: per avere certezze bisognerà aspettare gli esiti dell’autopsia, già disposta dai pm della Direzione distrettuale antimafia che coordinano le indagini. Misterioso resta per ora il numero dei partecipanti all’agguato. Misteriosi restano pure la dinamica e, soprattutto, il movente. La sola certezza è che questo delitto si inquadra in un chiaro contesto di camorra. 

 

Come sempre in questi casi, le indagini non possono che prendere le mosse dal passato della vittima. Raffaele Cinque non era mai finito in inchieste, e tanto meno processi, di camorra. Eppure la sua vita - come le sue attività illecite scandite in una lunga serie di precedenti penali - avrebbero gravitato in un ambiente molto vicino al clan Contini, uno tra i più temibili “azionisti” del cartello criminale dell’Alleanza di Secondigliano.

Precedenti per furto, rapina, estorsione e persino un tentato omicidio: reati gravi che, tuttavia, gli avevano consentito sempre di scansare l’accusa di associazione per delinquere di stampo mafioso. Negli ambienti di polizia e carabinieri il 50enne ucciso l’altra notte viene descritto come uno specialista soprattutto in furti e rapine, soprattutto di scooter. 

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Ma Cinque era anche un esperto di “cavalli di ritorno”: una pratica illegale purtroppo assai diffusa a Napoli, consistente nella richiesta di pagamento di un riscatto, rivolta a chi ha subito un furto, per riottenere ciò che gli è stato rubato. E proprio dietro queste ultime due note caratteristiche potrebbe - il condizionale è d’obbligo nelle primissime fasi investigative - celarsi la chiave del giallo.

Tra le piste che in queste ore vengono battute c’è dunque quella di una vendetta per uno “sgarro” che Raffaele Cinque avrebbe commesso, toccando probabilmente i fili dell’alta tensione negli ambienti della criminalità organizzata della zona compresa tra Poggioreale, Secondigliano e San Pietro a Patierno. Non si esclude, insomma, che la condanna “capitale” gli sia stata inflitta per aver toccato la persona sbagliata, qualcuno che conta nelle gerarchie della malavita locale. Questo non escluderebbe che la decisione di farlo fuori possa essere partita proprio dagli ambienti del clan contini. E se fosse così, allora il delitto assumerebbe i connotati di una epurazione interna alla cosca.

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