«Io prima donna tra i falchi a Napoli, contro ladri e pregiudizi»

In pensione dopo 37 anni di servizio: «Sono stata la quota rosa nell’antiscippi»

Daniela Panzera
Daniela Panzera
di Giuseppe Crimaldi
Mercoledì 31 Maggio 2023, 23:45 - Ultimo agg. 2 Giugno, 10:17
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Il rispetto - quello dei suoi colleghi “sbirri” di strada, come quello dei delinquenti - se lo è conquistato sul campo.

Normale che, dopo 37 anni vissuti in primissima linea con la divisa addosso, riavvolgere il filo dei ricordi provochi anche qualche luccicone e quel groppo alla gola che arriva mentre si appendono le scarpette al chiodo: «Quando entrai nella sezione Antiscippo di Napoli - spiega al Mattino Daniela Panzera, sostituto commissario coordinatore della Polizia di Stato, giunta al suo ultimo giorno di servizio - mi ritrovai proiettata in un mondo popolato da soli maschi: i “Falchi” della Squadra Mobile. In principio non fu facilissima la convivenza: soprattutto con i colleghi più anziani, che mi guardavano storcendo il naso...». 

Lei si arruolò nel 1987 come allieva agente, poi diventò ispettore e via via arrivarono altri gradi. Fu la prima donna ad accedere alla VI sezione, quella dei mitici “Falchi”. Ma come le saltò in mente?
«Non ci fu alcun salto: ero impiegata alla “Narcotici”, e allora in ogni sezione c’erano almeno un paio di donne; la sola nella quale erano tutti uomini era quella dei “Falchi”, dove la presenza femminile era comunque indispensabile quando si trattava di eseguire una perquisizione alle donne.

Cominciò tutto così». 

E il dirigente dell’epoca come la prese?
«Era il dottore Antonio Borrelli, che ultimamente è stato anche questore di Caserta, prima di diventare dirigente presso il Dipartimento della pubblica sicurezza del ministero dell’Interno. Ricordo che allora il questore era Vito Mattera. La prima cosa che mi chiese Borrelli fu: “Ma tu la sai portare la motocicletta?” Risposi sì, e lui non ci pensò due volte: ero nei “Falchi”. Io feci da apripista, dopo di me di donne ne sono arrivate tante».

L’operazione più importante che ricorda? E quella più pericolosa?
«Nessuna in particolare. Ce ne sono state tante, tutte importanti e delicate. L’approccio doveva essere sempre lo stesso, come l’attenzione».

Affermarsi, comunque, in quegli anni all’interno di un mondo tipicamente maschile non deve essere stato facile.
«Come ho detto c’era qualcuno, soprattutto tra i più anziani e navigati poliziotti, che mi guardava quasi con distacco e sufficienza. Erano agenti vecchio stampo, oggi è cambiato tutto. Poi però capii qual era il segreto per avere la loro attenzione: e realizzai che sarei dovuta essere io ad adeguarmi ai loro stili e comportamenti, anche quelli che richiamavano a certi linguaggi un po’ grevi e ruvidi».

E come andò a finire?
«Riuscii a conquistare anche la loro stima, anche se mi sfruculiavano chiamandomi a’ mascolona».

Lei è un’enciclopedia di ricordi della Questura di Napoli. Quali altri dirigenti e funzionari ricorda oggi con particolare affetto?
«Tanti, e farei torto a qualcuno se omettessi il suo nome».

Nessuno se la prenderà, ma faccia almeno qualche nome.
«Adolfo Grauso e Sossio Costanzo».

E quanti questori ha visto passare a via Medina in quasi 40 anni di servizio?
«Tanti. Non li ho mai contati, però. Il primo fu Barrel».

E con i criminali? Come la vedevano una donna poliziotto, per di più “Falco”?
«Mai avuto problemi con loro. Anzi, quando mettevo loro le manette avevo la sensazione che si sentissero anche più intimoriti del solito: forse perché pensavano fossi una funzionaria, e non unaa semplice agente. Ai Quartieri Spagnoli mi chiamavano ‘a brigadiera femmena».

Rimpianti?
«Nessuno, se riavvolgo il nastro della mia vita. Ho chiuso la carriera alla Polizia Stradale, dopo tanti anni in prima linea avevo bisogno di una vita meno agitata. Dopo l’Antiscippo ho prestato servizio anche al commissariato san Paolo come responsabile del settore relativo all’Anticrimine interna e dell’ufficio Misure di Prevenzione e Sicurezza. Rimpianti no, nessuno. Ma...».

Ma?
«Ecco, penso sia più un fatto sentimentale. Ieri, ultimo giorno di servizio, nel riconsegnare distintivo, pistola e manette ho capito che da oggi mi mancherà qualcosa. Nella mia carriera ho impugnato molte volte l’arma, ma non ho mai sparato nemmeno un colpo, neanche in situazioni di evidente criticità. Oggi la pistola mi mancherà, insieme alla divisa e a tutto il resto. E se proprio dovessi ammettere un rimpianto, ora che ci penso, eccolo: avrei voluto finire la carriera insegnando a quella Scuola di Polizia, la stessa che mi ha formato e fatta diventare poliziotta».

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