Whirlpool Napoli, sfumato ​il piano di reindustralizzazione: la rabbia degli ex dipendenti

Whirlpool Napoli, sfumato il piano di reindustralizzazione: la rabbia degli ex dipendenti
di Alessio Liberini
Giovedì 11 Agosto 2022, 18:50 - Ultimo agg. 19:32
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La rabbia si mescola alla delusione e all’amarezza. Le speranze, dopo l’ennesima doccia gelata, diventano lacrime e smarrimento sui volti – provati - dei 317 ex dipendenti dello stabilimento Whirlpool di Napoli. Dopo tre lunghi anni, vissuti sullo sfondo delle tante battaglie tradite da ben tre governi, e le lettere di licenziamento ormai già in tasca da mesi sembra essere sfumato – quasi del tutto – anche il progetto di reindustrializzazione per il sito di via Argine. Ovvero il piano per creare nella storica fabbrica della periferia orientale un Hub della mobilità sostenibile. Progetto avanzato dal ministero dello Sviluppo Economico ormai un anno fa «proprio per far fronte al fatto che non erano riusciti a fermare la multinazionale, nonostante gli accordi siglati nei palazzi romani», osservano quasi rassegnati alcuni lavoratori.

«Un fulmine a ciel sereno». Così le tute blu di Napoli Est definiscono la lettera arrivata nella serata di ieri alle parti sociali. In cui l’Adler, capo fila del progetto di reindustrializzazione, fa tornare tutti i soggetti interessati alla questione sul pianeta terra. Chiarendo, in maniera ufficiale, che le risposte sulla compatibilità ambientale dell'area ad oggi non sono state sufficienti per risolvere i problemi palesati da quasi un anno a questa parte. Nonostante mesi di vertici ed incontri tra tutte le parti interessate e quella data intrinseca di speranze - avanzata solo la scorsa settimana nel corso dell’ultimo summit sulla vertenza - che vedeva nel 25 agosto prossimo un probabile giorno per chiudere definitivamente il nodo del passaggio dello stabile dalla multinazionale statunitense al Consorzio interessato alla riconversione della fabbrica. Anche questa garanzia, come tante altre sfumate in precedenza, non potrà realizzarsi. Come ha spiegato la stessa azienda nella missiva diramata in serata: «Il risultato di questa situazione di incertezza porterà inevitabilmente le imprese ad allontanarsi dall’iniziativa, ed a ritenere non più sussistenti, le condizioni di fattibilità, considerando che elementi che erano stati rappresentatati come risolvibili in 48 ore sono ancora insoluti a distanza di tanti mesi, compromettendo, così, irrimediabilmente, i piani delle aziende e, a nostro malgrado, le aspettative di chi ( i lavoratori e le famiglie…) vi ha riposto le proprie speranze».

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«Sono scoraggiato non so più cosa devo pensare. Sono allibito, senza parole». A raccontarlo, con la voce ancora provata dalla nottata che ancora “adda passa”, è l’operaio Francesco Napolitano, 44 anni da oltre 20 in Whirlpool. «Nell’ultima assemblea ci avevano assicurato che la reindustrializzazione stava andando avanti e invece non è così» spiega Francesco mentre si sposta da solo col telefono in camera da letto per evitare di farsi sentire dalla propria famiglia: «Preferisco che mia moglie e i miei figli non sentano queste cose. Preferisco non parlare con loro ora: gli avevo detto che stava andando tutto bene solo qualche giorno fa». La cruda verità è che «ci è caduto di nuovo il mondo addosso. Speravamo nell’apertura ma ora non so più cosa pensare, sono confuso. Bisognava dare una svolta a questa sofferenza. Va bene la buona uscita ma a cosa ci serve se ci negano la dignità?».

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Francesco, come tanti suoi colleghi, non ci sta a perdere la speranza. Ma “buone notizie”, su quella che è diventata una vertenza simbolo della lotta per il lavoro nel Mezzogiorno, proprio non sembrano esserci: «Non ci hanno mai portato una gioia. Io ci credo, credo nel sindacato, ma qua addirittura il prefetto non sapeva della brusca frenata dell’azienda, ma di cosa stiamo parlando?». Proprio il prefetto di Napoli, Claudio Palomba, negli ultimi mesi aveva fatto il possibile, e forse anche qualcosa in più, per portare al tavolo tutte le parti interessate al fine di arrivare ad una quadra.

Ma oggi, da come raccontano gli operai, «non gli è stato nemmeno comunicato personalmente il duro stop, tanto che l’avrebbe scoperto solo leggendo le notizie uscite stamane».


Ora «cadiamo un po’ tutti dalle nuvole» racconta Vincenzo Accurso, Rsu e sindacalista Uilm, mentre è a mare con i suoi bimbi piccoli. «Le persone, parlando con i colleghi, si erano andati a fare le vacanze per poi tornare il 25. Era il primo anno, dopo più di mille giorni di vertenza, che potevamo andare in vacanza a cuor leggero ma invece oggi siamo qui ancora a pensare all’incertezza lavorativa ed il futuro che a Napoli non c’è. Quelli che mi preoccupano sono però i miei colleghi che dicono che è finita. Sono molto preoccupato per quello che possono fare a se stessi, ci sono persone che veramente non ce la fanno più. Ormai della politica non c’è proprio nessuna fiducia. Arriveremo alle elezioni con altre finte promesse che un ennesimo governo non rispetterà. Io ora mi sono ripreso, stamattina avevo dolori al petto dovuti al forte stress.  La prossima manifestazione? Sarà incontrollabile, abbiamo paura che qualcuno faccia qualche sciocchezza. Gli umori sono al minimo sindacale».


Se gli umori sono ai minimi storici per i timori generati da questo ennesimo slittamento i dubbi restano ancora tanti. La colpa di questa durissima frenata per tutti gli operai ascoltati è da ricollegarsi alla politica, con la p minuscola, che qui tanto ha promesso e poco sembra aver fatto. Da Luigi Di Maio (firmatario degli accordi, mai mantenuti dalla Whirlpool), passando per Stefano Patuanelli ( il primo a proporre, seppur timidamente, Adler per un possibile piano di reindustrializzazione a via Argine), fino a Giancarlo Giorgetti ed Andrea Orlando. Ma la lista completa sarebbe difatti quasi infinita.

Fra tutti la più bersagliata, tra le tute blu, resta la viceministra del Mise, Alessandra Todde. Colei che, esattamente un anno fa, «ci aveva portato al tavolo il progetto dell’Hub di mobilità sostenibile», definendolo, nel corso della sua visita allo stabilimento risalente ad ottobre 2021, “un progetto concreto”.  
«Qui chi deve fare una replica è la Todde – tuona Accurso precisando che -  all’ultimo tavolo non si è presentata, forse già sapeva qualcosa? L’interlocutore che ci ha portato Adler al tavolo è la viceministra Todde, ora tocca a lei dare riposte». Dal momento che l’azienda ai summit ministeriali «non l’ha portata il mio salumiere ma il Governo – precisa secco l’operaio -  assicurandoci che c’era un piano serio sotto. La Todde ci aveva promesso, anche in fabbrica, che il nostro futuro era garantito, ora volgiamo risposte».

«Dalla Todde vorrei solo delle scuse – spiega amareggiata la lavoratrice Michela Esposito -  è venuta a via Argine a dirci di non preoccuparci si è fatta la foto con noi, ha pianto, ma forse si è emozionata perché sapeva che ci stava prendendo in giro? A lei chiedo solo delle scuse perché ci ha preso in giro. Ora siamo in un tunnel dove non vediamo una luce».

La «cosa straordinaria» per l’operaio Francesco Petricciuolo, parlando dei rischi ambientali sul sito locato in piena zona Zes, è che «noi abbiamo lavorato per anni in questi problemi ambientali. Quello stabilimento è così almeno dal 2000, probabilmente non si sono adeguati a certe normative. Qualcuno si sarà mangiato i soldi sopra. Io ho lavorato per 30 anni sotto l’amianto come sta denunciando oggi Adler. Noi lottiamo per il lavoro a Napoli non per altre forme di assistenzialismo. Se qualcuno ci ha lucrato sopra ora bisogna dirlo».

«In questo momento – prosegue Petricciuolo che oggi, appresa la notizia, è rientrato persino dalle vacanze dal momento che la serenità gli è stata spezzata nuovamente - sono letteralmente confuso abbiamo cercato di fare una lotta democratica, senza creare problemi, chiedendo dignità e democrazia. Ma più passa il tempo più credo che bisogna lasciare a terra la democrazia e prendere le mazze per colpire chi in questo momento sta facendo campagna elettorale per dividersi il Pnrr. Io vedo solo questo, c’è tanta delusione. È mai possibile che dopo tre anni di vertenza non c’è mai uno spiraglio. Facciamo sempre passi indietro e così si perde la fiducia su tutto, la politica, le istituzioni ed il sindacato».

«A questo punto dico – in maniera provocatoria - viva la camorra e le mafie che almeno danno da mangiare in questi territori. Un sito come quello nostro in mano alla camorra non sarebbe mai stato chiuso. Bisogna tener a mente che oggi le mafie investono anche nel mercato legale, la politica invece in questo ambito non ci ha saputo fare. Questo è uno schifo, è uno schiaffo alla città. Posso capire l’azienda (l’Adler ndr) che ha fatto bene a denunciare tutti i problemi ma, personalmente, credo che sia uno schifo totale».

Un ribrezzo che dalla vertenza passa, quasi spontaneamente, all’imminente tornata elettorale. La quarta, in totale stato di incertezza, per i lavoratori dell’ex fabbrica di lavatrici.

«La vecchia politica – continua il metalmeccanico - si sarebbe fatta rispettare questi alzano solo le mani, la Todde non fa la viceministra ma fa l’imprenditrice degli imprenditori. Io non sono preoccupato per me ma per i giovani che non qui non hanno un futuro. Il vero dramma è questo».

«Qui non siamo arrabbiati – racconta l’operaio Luciano Doria -  abbiamo solo avuto la conferma che in Italia se si vuole fare industria si fa sennò le aziende se ne vanno. Se si perde tempo vuol dire che non ci sono progetti.  È surreale la situazione, oggi il prefetto neanche lo sapeva, ci dobbiamo credere? Io non so. Non brucio la tessera elettorale solo perché non la tengo a portata di mano ma, a prescindere dalla situazione Whirlpool, la realtà istituzionale è indegna. Il mese scorso hanno fatto cadere il governo ed ora si attaccano tra di loro quando non hanno mai dato risposte concrete ai cittadini. Ci sono politici che sono in parlamento da 20 anni eppure non hanno mai fatto niente per i lavoratori. Ora evitano tutti di nominarci quando hanno fatto tre campagne elettorali sulla nostra pelle”.

Buona parte delle tute blu ascoltate oggi, manco a dirlo, il prossimo 25 settembre lascerà la scheda bianca o, al massimo, segnerà un “voto di protesta” perché «ad oggi non c’è nessun partito che vuole fare, realisticamente, gli interessi dei lavoratori, specialmente quelli più fragili».

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