Quando ha saputo del taglio di 2 milioni di euro operato dalla Regione al Teatro Nazionale, la cui prima vittima è la rassegna Pompeii theatrum mundi, Nino Daniele si trovava a Velia per una delle giornate del festival di filosofia della Magna Grecia che di spettacoli all'aperto nei siti archeologici ne propone vari: «Un'organizzazione perfetta, come location e nomi» dice l'ex assessore alla Cultura del Comune. Certo, le due iniziative sono diverse nel peso e nella struttura, però è come se Daniele sottintendesse che la cultura in Campania nei luoghi di eccellenza si può e si deve fare.
Daniele, lei era assessore quando il Mercadante divenne Teatro Nazionale, nel 2015.
«Un momento eccezionale.
Mentre adesso il teatro viene pesantemente penalizzato dalla decisione.
«Sono sgomento, non riesco a capire come mai possa accadere una cosa del genere. E questa volontà di Vincenzo De Luca mi sorprende: quando si decise il nome di Roberto Andò alla direzione artistica sembrava molto favorevole, in generale l'idea è che gli stessero a cuore le sorti del Mercadante. Bisogna capire bene le ragioni di questo taglio».
Si dice che non venga considerato una priorità.
«E questo è davvero incredibile. Avere un Teatro Nazionale forte è essenziale. Non può essere accolta come obiezione neppure l'idea di un taglio orizzontale che coinvolge, se lo coinvolge, altre manifestazioni: il Teatro Nazionale non si tocca, è l'unico nel Mezzogiorno».
Intanto viene sacrificata la manifestazione Pompeii theatrum mundi.
«Non credo che la cifra di 2 milioni di euro servisse solo alla rassegna pompeiana, però anche questa è una brutta notizia».
Una decisione presa mentre Napoli è sotto i riflettori del mondo.
«Per questo appare ancora più paradossale. La città è piena di turisti, ne parlano i giornali stranieri, come è possibile ideare un taglio così netto a un settore che dovrebbe invece essere valorizzato? Perché la verità è questa, altro che tagli, andavano considerati degli aumenti nei sostegni. La cultura è il primo motore della città e della regione».
L'anno scorso il taglio interessò il San Carlo che ora è di nuovo al centro delle polemiche.
«Per il San Carlo la vicenda è diversa ma vale un discorso comune: la cultura deve essere gestita con strategia. Con dinamiche di potere, di visibilità e di consenso, non si va molto lontano. Posti come il Massimo, poi, sono sotto gli occhi del mondo e perciò sottoposti a più appetiti. Io non dico che non si debba discutere di cultura, la materia non è una melassa pacificata. Ma se lo si fa con idee è un conto, se per convenienze politiche è tutt'altro».
Né la Regione né il Comune hanno un assessorato alla Cultura; lei che ha ricoperto il ruolo che pensa?
«La delega la può anche tenere il sindaco, l'importante è come si costruiscono le politiche culturali. Se si affronta la questione in maniera collettiva e democratica il ruolo dell'assessore è più o meno rilevante. Il problema non sono gli incarichi ma come si realizzano la discussione e l'ascolto».
Cosa serve alla cultura in Campania?
«Molte cose. Prima di tutto una strategia di lungo periodo, poi una selezione precisa e partecipata degli obiettivi che si vogliono raggiungere. E ricordando che la cultura è un diritto, un'altra cosa che serve è il coinvolgimento dei giovani che dalle nostre parti sono costretti a emigrare. Gestendo meglio la cultura molti resterebbero».