Cultura senza fondi, intervista a Nino Daniele: «Manca una strategia, valorizziamo i giovani»

«Il problema non sono gli incarichi ma come si realizzano la discussione e l'ascolto»

Nino Daniele
Nino Daniele
di Giovanni Chianelli
Giovedì 20 Aprile 2023, 07:05 - Ultimo agg. 16:34
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Quando ha saputo del taglio di 2 milioni di euro operato dalla Regione al Teatro Nazionale, la cui prima vittima è la rassegna Pompeii theatrum mundi, Nino Daniele si trovava a Velia per una delle giornate del festival di filosofia della Magna Grecia che di spettacoli all'aperto nei siti archeologici ne propone vari: «Un'organizzazione perfetta, come location e nomi» dice l'ex assessore alla Cultura del Comune. Certo, le due iniziative sono diverse nel peso e nella struttura, però è come se Daniele sottintendesse che la cultura in Campania nei luoghi di eccellenza si può e si deve fare.

Daniele, lei era assessore quando il Mercadante divenne Teatro Nazionale, nel 2015.
«Un momento eccezionale.

Ci servivano posti per arrivare ai 1000 previsti per i Teatri Nazionali, Luca De Filippo concesse gratis per 3 anni il San Ferdinando dato che il Mercadante ne aveva solo 500. Ottenere la sala non era solo un modo per avere posti ma portava all'allora Stabile il tempio del più grande drammaturgo napoletano, insomma si verificò l'unione di volontà virtuose: uno dei primi registi italiani, un grande teatro e una buona amministrazione».

Mentre adesso il teatro viene pesantemente penalizzato dalla decisione.
«Sono sgomento, non riesco a capire come mai possa accadere una cosa del genere. E questa volontà di Vincenzo De Luca mi sorprende: quando si decise il nome di Roberto Andò alla direzione artistica sembrava molto favorevole, in generale l'idea è che gli stessero a cuore le sorti del Mercadante. Bisogna capire bene le ragioni di questo taglio».

Si dice che non venga considerato una priorità.
«E questo è davvero incredibile. Avere un Teatro Nazionale forte è essenziale. Non può essere accolta come obiezione neppure l'idea di un taglio orizzontale che coinvolge, se lo coinvolge, altre manifestazioni: il Teatro Nazionale non si tocca, è l'unico nel Mezzogiorno».

Intanto viene sacrificata la manifestazione Pompeii theatrum mundi.
«Non credo che la cifra di 2 milioni di euro servisse solo alla rassegna pompeiana, però anche questa è una brutta notizia».

Una decisione presa mentre Napoli è sotto i riflettori del mondo.
«Per questo appare ancora più paradossale. La città è piena di turisti, ne parlano i giornali stranieri, come è possibile ideare un taglio così netto a un settore che dovrebbe invece essere valorizzato? Perché la verità è questa, altro che tagli, andavano considerati degli aumenti nei sostegni. La cultura è il primo motore della città e della regione».

L'anno scorso il taglio interessò il San Carlo che ora è di nuovo al centro delle polemiche.
«Per il San Carlo la vicenda è diversa ma vale un discorso comune: la cultura deve essere gestita con strategia. Con dinamiche di potere, di visibilità e di consenso, non si va molto lontano. Posti come il Massimo, poi, sono sotto gli occhi del mondo e perciò sottoposti a più appetiti. Io non dico che non si debba discutere di cultura, la materia non è una melassa pacificata. Ma se lo si fa con idee è un conto, se per convenienze politiche è tutt'altro».

Né la Regione né il Comune hanno un assessorato alla Cultura; lei che ha ricoperto il ruolo che pensa?
«La delega la può anche tenere il sindaco, l'importante è come si costruiscono le politiche culturali. Se si affronta la questione in maniera collettiva e democratica il ruolo dell'assessore è più o meno rilevante. Il problema non sono gli incarichi ma come si realizzano la discussione e l'ascolto».

Cosa serve alla cultura in Campania?
«Molte cose. Prima di tutto una strategia di lungo periodo, poi una selezione precisa e partecipata degli obiettivi che si vogliono raggiungere. E ricordando che la cultura è un diritto, un'altra cosa che serve è il coinvolgimento dei giovani che dalle nostre parti sono costretti a emigrare. Gestendo meglio la cultura molti resterebbero». 

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