Da Suez a Napoli, un’occasioneda non perdere

di Gianfranco Viesti
Giovedì 6 Agosto 2015, 22:29 - Ultimo agg. 22:43
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Per una curiosa coincidenza, la direzione del Partito Democratico che, finalmente, dovrebbe cominciare a discutere di politiche per lo sviluppo del Mezzogiorno, cade il giorno dopo l'inaugurazione del grande raddoppio del Canale di Suez. Che cosa lega questi due eventi così diversi? Una considerazione importante. Come si è giá notato su queste colonne, una ragionevole, ambiziosa strategia di sviluppo del Mezzogiorno ha senso solo nell'ambito di una riflessione complessiva sul futuro dell'Italia; riflessione che manca (a parte la felice ma breve parentesi Prodi-Ciampi) da tempo immemorabile.



E Suez è lì a ricordarci come il mondo stia velocemente cambiando, e come il nostro paese debba riprendere con più vigore un proprio ruolo nelle grandi trasformazioni geoeconomiche mondiali; debba ripensarlo, alla luce delle grandi difficoltá sperimentate dall'inizio del secolo. È in questo quadro che il Mezzogiorno diventa una grande chance, e non un tema fastidioso cui dedicare qualche idea improvvisata.



Il 20% del trasporto marittimo mondiale passa dal Mediterraneo; ma l'Italia se ne giova assai meno di quanto potrebbe. Per un insieme di motivi, ma anche perchè le sue infrastrutture portuali sono, stando al World Economic Forum, al 49mo posto in una graduatoria internazionale di qualitá: quelle spagnole sono ottave; ma anche quelle greche e marocchine sono migliori.



Gioia Tauro e Taranto sono in particolare due carte che l'Italia sta sprecando. Svimez e SRM, in particolare, lo hanno dimostrato, dedicando a questo tema approfonditi, ripetuti, studi (mentre il nuovo Programma Operativo 2014-20, analizzato sulle pagine del Mattino qualche giorno addietro, fa nascere non pochi dubbi). Oggi sono porti destinati principalmente al trasbordo nave-nave, ma con quote di mercato, specie nel secondo caso, in sensibile flessione a vantaggio di altri concorrenti mediterranei, e con prospettive assai incerte. La questione di fondo è come guardiamo a questi due scali: se come una questione minore, dei calabresi o dei pugliesi; o come una grande opportunitá per l'Italia. Finora - con qualche eccezione che però non ha inciso sulle tendenze di fondo - è prevalso il primo atteggiamento: diamo un po' di soldi ai calabresi perchè facciano un po' di lavori e tutelino almeno l'occupazione che c'è. Questo è il vero grande spreco nel Mezzogiorno: lasciare che le grandi opportunitá di sviluppo giacciano, anno dopo anno, lustro dopo lustro, inutilizzate. Da tempo prevale in Italia un'ottica localistica: l'attenzione non è mai sul sistema portuale (o ferroviario, o universitario, o sanitario) nazionale; ma solo su alcuni punti, preferibilmente, quasi esclusivamente, nelle aree più forti del paese. Se i calabresi non sono capaci di moltiplicare l'impatto economico di Gioia Tauro, peggio per loro. Anzi, ci stanno dimostrando quanto sia inutile destinare lì risorse. E se al Sud i grandi attori nazionali fanno poco o nulla, pazienza (o forse, meglio, in un tempo di risorse scarse): i dati presentati nell'ultimo Def che certificano che FS e Anas abbiano realizzato solo il 27% dei lavori che si erano impegnati a fare nel 2014 sui quattro grandi «contratti di sviluppo» firmati con il Governo non pare abbiano suscitato particolare indignazione.

Gioia Tauro può essere un grande motore per l'economia italiana. Il fatto che sia in Calabria, ne moltiplica, non riduce, il possibile impatto su tutte le imprese del paese (come ogni investimento al Sud). Ma, naturalmente, a patto che se ne creino i presupposti: rafforzamento infrastrutturale, collegamenti porto/ferrovia, una diversa governance, condizioni adatte per favorire la localizzazione di attivitá economiche che trovino economicitá proprio nell'essere a ridosso del porto. Il Piano Strategico Nazionale della Portualitá e della Logistica, appena pubblicato, parla di una «zona economica speciale», tutta da costruire: e lì sì probabilmente assai utile. Ieri su queste colonne anche l'esperto Presidente dell'Autoritá Portuale di Venezia richiamava queste opportunitá (pur sottolineando, pro domo propria, che i porti del Sud non devono essere visti come «gateway» per le merci da e per il Nord Italia: cosa su cui invece è utile e possibile discutere). Su Taranto il Piano è assai vago: sono necessari «approfondimenti», si dice: sarebbe bene farli in fretta, considerando le pericolossime convulsioni dell'Ilva e la necessitá di disegnare al più presto un futuro per quella cittá di progressiva disersificazione rispetto alla monocultura siderurgica.



Ma senza una forte volontá politica, nazionale e locale insieme, si fará ben poco; come ben poco si è fatto finora in entrambi i casi. Perchè il governo non destina ad esempio, nei prossimi giorni, parte delle non piccole risorse del Fondo Sviluppo e Coesione (Fsc) 2014-20 (assai più utili a questi fini di quelle europee) ad un vero programma quinquennale su Gioia Tauro e Taranto, con obiettivi e responsabilitá certe? Sono risorse, quelle del Fsc, che al momento ricordano le vacche di Mussolini: sempre lì a illudere dell'opulenza che c'è. E che rischiano di fare la fine di molte del ciclo precedente: un bancomat per esigenze spicciole; rischio evidente dato che anche questo Governo non ha avuto esitazioni nel finanziare gli sgravi contributivi con 3,5 miliardi di euro destinati a investimenti nel Mezzogiorno (e che qualche tempo fa il Ministro dell'Economia ha difeso l'operazione, non escludendo di ripeterla). Perché il Governo non annuncia tempi certi, possibilmente brevi, per l'attivazione dell'intermodalitá mare-ferrovia nei porti, per il miglioramento delle dorsali merci ferroviarie sia sul Tirreno che sull'Adriatico per il passaggio di grandi e più economici convogli (questioni entrambe sul tavolo da 20 anni), per l'istituzione e la promozione di condizioni localizzative volte a sfruttare i grandi retroporti per creare lavoro?



In fin dei conti la scelta è semplice: annunciare qualcosa per far vedere che si pensa anche ai meridionali; ricominciare a prendere il Mezzogiorno sul serio, nell'interesse dell'intero paese.