Io, lui e gli amici del liceo Umberto

di Raffaele La Capria
Sabato 10 Gennaio 2015, 23:51
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Franco Rosi, l’amico di una vita, oggi ci ha lasciato. Un vuoto enorme si è spalancato, ottant’anni di amicizia, da quando da ragazzini andavamo a fare i bagni a Capo Posillipo, agli anni di Roma, quando con Patroni Griffi, Antonio Ghirelli, cercammo là in direzioni diverse la nostra strada, Franco il cinema, Peppino il teatro, Antonio il giornalismo, io la letteratura. Abbiamo avuto fortuna, ognuno ha realizzato le sue ambizioni.

Uno di noi, Giorgio Napolitano è diventato addirittura Presidente della Repubblica. Non è stata soltanto un’amicizia dei sentimenti, è stata anche un’amicizia, la nostra, dedicata al lavoro comune, abbiamo fatto insieme molti film, io come collaboratore alle sceneggiature, Franco come regista. Se Napoli ha appena tributato un omaggio al suo amato Pino Daniele riempiendo di una folla commossa Piazza Plebiscito, un simile omaggio sarebbe adeguato anche per Franco Rosi perché anche lui coi suoi film ha dato lustro alla città, anche lui fa parte di quei napoletani come Eduardo, come Totò, come Troisi, di cui Napoli può andar fiera. I film di Rosi hanno risonanza mondiale, i registi americani, Scorsese, Coppola, i grandi critici francesi hanno manifestato il loro entusiasmo per questi film, e certo sono film che hanno aperto una nuova stagione dopo quella del neorealismo, film di un realismo più critico e meno sentimentale, socialmente impegnati ed esteticamente rivoluzionari. Tra questi film uno è dedicato a Napoli, e certo è diverso da tutti i film girati prima su Napoli, parlo di «Mani sulla città», che nel 1963 vinse il Leone d’oro al Festival di Venezia. Il soggetto di «Mani sulla città» fu concepito per iniziare una battaglia contro la speculazione edilizia che sotto l’amministrazione Lauro stava devastando la nostra città. Credevamo allora, Rosi ed io, che denunciare attraverso un film i meccanismi politici, amministrativi e sociali della speculazione significasse combatterla e forse, se non eliminarla, almeno attenuarla.

Il cinema ci pareva l’arma più efficace per raggiungere questo scopo, ed è da questa convinzione, fortemente radicata – come tante altre che allora nutrivamo – che sono nati alcuni dei film più impegnati di Francesco Rosi. Ma quasi tutti i suoi film, mi sono poi accorto, presentano una storia puntualmente documentata («Salvatore Giuliano», «Il caso Mattei», «Lucky Luciano»), piena di intrecci e connessioni di cui non si viene a capo.

«Le mani sulla città», pur collocandosi nello stesso contesto è uno dei pochi film in cui si viene a capo di qualcosa, e con un procedimento brechtianamente pedagogico se ne traggono le conseguenze. È stato con un lavoro simile a quello di un’inchiesta giornalistica o poliziesca che Rosi ed io abbiamo costruito il soggetto di «Le mani sulla città». Abbiamo girato per le vie e i vicoli documentandoci su ogni minimo particolare, siamo entrati con finte richieste negli uffici dell’amministrazione comunale, abbiamo spulciato archivi, controllato mappe di piani regolatori, discusso con i capi ufficio e con impiegati perfino dello spessore di un pennino o dei colori acquerellati che servono per disegnare le mappe, perché anche in questi minimi particolari si celava l’imbroglio, e abbiamo cercato di ricondurre tutto questo materiale di prima mano all’interno del nostro progetto cinematografico. Abbiamo assistito alle sedute del consiglio comunale, impensabili per chi non le abbia viste con propri occhi e sentite con le proprie orecchie, e abbiamo cercato di rendere visibile l’ipocrisia, la sopraffazione, la retorica, la vuota ritualità e la forza sotterranea dell’interesse economico: qui la «bella confusione» di cui ho parlato come di una forma artistica del nostro tempo, ci è stata di grande aiuto come mezzo di espressione.

Quando si parla dei film di Rosi si mette quasi sempre più in luce il dato politico e sociale rispetto a quello estetico, ma così non gli si rende giustizia. Moravia quando parlò dei suoi film parlò di «intrepidezza visiva» e disse che Rosi «in rivalità con Goya e Picasso ci ha fornito una serie di immagini memorabili». Soldati scrisse che mai prima di «Mani sulla città» Rosi era stato «così lirico, così poetico». Che Rosi oltre che impegnato fosse anche poetico è quello che volevo sentire. E penso anche a «Cristo si è fermato a Eboli», un film bello quasi quanto il libro.