Mini-telefoni nelle celle dei detenuti: ancora sequestri, ma il reato non c'è

Mini-telefoni nelle celle dei detenuti: ancora sequestri, ma il reato non c'è
di Giuseppe Crimaldi
Venerdì 10 Gennaio 2020, 00:00 - Ultimo agg. 12:00
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Dodici ore di perquisizioni nelle celle, detenuti sottoposti ad esami radiografici e quattro cellulari sequestrati. Sono i risultati di una lunga operazione portata a termine dalla Polizia penitenziaria nel carcere di Secondigliano, che ospita detenuti “definitivi” e condannati per reati di mafia. E scoppia la polemica, perché - oltre alla lunga serie di casi inquietanti che dimostrano come le carceri napoletane (e italiane, giacché si tratta di un fenomeno diffuso a livello nazionale) siano dei colabrodo - alla fine l’introduzione vietata di telefonini non configura alcuna fattispecie di reato.

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Partiamo dall’ultima operazione della Polpen a Napoli. Una perquisizione straordinaria eseguita anche con l’ausilio delle unità cinofile e di metal detector, che ha interessato tutti i reparti detentivi e l’intera popolazione detenuta ristretta, terminata solo nella tarda nottata. Alla fine dalle celle sono spuntati altri quattro telefonini: circostanza assai inquietante se si pensa che tra i 1400 detenuti che affollano la struttura la maggior parte è composta da appartenenti al circuito Alta Sicurezza, e sono affiliati alla camorra.

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Ma come fanno ad entrare in carcere i cellulari? E com’è possibile, ancora, che negli istituti carcerari si riesca persino a far passare cocaina, hashish e altri tipi di sostanze stupefacenti?

La situazione viene costantemente denunciata dai sindacati della Polizia penitenziaria, che evidenzia come ogni giorno in strutture come quella di Poggioreale il personale in divisa sia costretto a dover controllare - nell’ambito dei circa 400 colloqui tra detenuti e parenti che si succedono quasi tutti i giorni - qualcosa come 1500-200 persone. Nelle sale colloqui, inoltre, non ci sono vetri divisori e ciò agevola sicuramente il passaggio di sostanze o oggetti. Due esempi recenti: in una struttura carceraria della nostra regione (non la citiamo, essendo in corso un’indagine della magistratura inquirente) una telecamera nascosta nella sala colloqui ha registrato il passaggio di un microtelefonino ad un recluso: le immagini hanno registrato quel passaggio - che una donna ha estratto dalla vagina trasferendolo al marito detenuto, il quale a sua volta è riuscito ad inserirlo nell’ano - in soli sette secondi: gli investigatori hanno dovuto vedere e rivedere più volte quelle immagini prima di accorgersi dell’incredibile “consegna”. Altro caso: qualche giorno fa la Polizia penitenziaria è riuscita a sequestrare sette cellulari e 100 grammi di hashish che un detenuto affetto da una patologia certificata e portatore di pannolone era riuscito ad infilarsi proprio nell’assorbente.

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I sindacati di Polizia penitenziaria denunciano questo incredibile stato di cose. Aggravato - come già spiegato in premessa - dalla impossibilità di contestare, almeno nel caso della consegna di cellulari ai reclusi, alcun reato (nel caso della droga il comportamento integra invece la fattispecie di cessione di sostanza stupefacente). Ovviamente se il destinatario della «consegna» fosse un soggetto gravato da reati associativi, o assimilabili al traffico di stupefacenti, per lui potrebbe scttare in ogni caso un'aggravante: ma questa è cosa diversa.

Una lacuna legislativa che finora nessun governo pare sia riuscito a colmare. Assurdo.

«La Polizia Penitenziaria sta cercando di dare una risposta efficace ai rilievi sollevati dal procuratore di Napoli Giovanni Melillo durante l’audizione davanti alla Commissione Antimafia della Camera - dichiara il segretario regionale dell’Uspp, Ciro Auricchio - Sempre maggiormente si avverte la necessità che l’amministrazione penitenziaria doti la Penitenziaria di strumenti tecnologicamente avanzati con schermature degli istituti per contrastare il fenomeno dell’ingresso dei telefonini in carcere, particolarmente rischioso e pericoloso sopratutto se a farne uso sono i detenuti con reati di associazione mafiosa dati i probabili contatti esterni con la criminalità organizzata». 
 

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