«Non avevo mai visto prima balene e delfini alle Faroe. Eppure avevo partecipato a diverse spedizioni attorno ai fiordi nella speranza di vederle libere di giocare felici. Anche e soprattutto per questo, quando mi sono trovato di fronte alla strage, ho cercato di farmi forza. Il tremendo spettacolo che avevo davanti agli occhi è stato molto difficile da documentare». A raccontare a caldo quanto avvenuto nel piccolo villaggio faroese di Hvannasund, è uno dei componenti della Captain Paul Watson Foundation UK sul posto, assieme al team ambientalista, per denunciare tramite le immagin, la caccia ai cetacei ancora in atto un quell'arcipelago a protettorato Danese.
Una caccia definita dai locali tradizionale che, nonostante le proteste di movimenti e associazioni internazionali, continua a decimare pressoché tutti i delfini e le balene che hanno la sventura di nuotare in quelle acque sciagurate. «Nelle uscite in mare cui avevo partecipato, prosegue la cronaca del giovane attivista, non eravamo mai riusciti a trovarle.
Del gruppo (pod) non si è salvato nessuno. «Good food», ha scritto sulla pagina della fondazione ambientalista un residente, ironizzando sull'accaduto. Sì perché, nonostante sia nota la tossicità di quella carne ricca di metalli pesanti, le balene pilota uccise, una volta macellate, sempre più spesso finiscono per essere consumate o vendute a trance dagli stessi abitanti dei villaggi. Una consuetudine pericolosa per la salute e per l'ambiente marino. Negli ultimi anni, infatti, il numero di cetacei, anche in quelle acque, è in forte diminuzione.
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