Una condotta lontana dai principi di «serietà e sobrietà» necessari per la professione legale. È questo il succo delle motivazioni per le quali il Consiglio distrettuale di disciplina dell'ordine di Torino ha sospeso per 15 mesi dalla professione Alessandra Demichelis. L'avvocato, che con la sua pagina Instagram "Dc Legalshow" è diventata un personaggio molto conosciuto per il tenore delle sue foto e dei suoi video, ha anche partecipato all'ultima edizione di Pechino Express. Secondo il Consiglio dell'Ordine di Torino «lo show non si addice alla professione legale, che neppure è una fiction, come la serie tv americana “Suits”, cui l’avvocato pare essersi ispirata. Le immagini - si legge nelle motivazioni - sarebbero semmai appropriate per un format di taglio erotico». La pagina social è un mix di abiti, serate, borse ma anche toghe e qualche informazione legale sparsa qua e là. Demichelis sarebbe responsabile di un «accaparramento di clientela con tecniche non lecite per farsi conoscere e per ricavare notorietà, compromettendo in modo rilevantissimo l’immagine della professione forense, tenendo un «comportamento complessivo particolarmente sprezzante, gravissimamente irrispettoso delle istituzioni forensi. Quando invece, davanti al collegio, ha tenuto un contegno confacente, finanche empatico, apprezzabile ed apprezzato».
La reazione
«Finalmente siete arrivate - ha scritto lei su Instagram postando una foto delle motivazioni - Ma non sarete stati magnanimi e indulgenti?». L'ironia è palese.
Le foto
«Inginocchiata sotto la scrivania dell’attuale collega di studio, seduto a gambe aperte, una foto davvero inqualificabile e svilente»; «Demichelis in bagno, in nudo quasi integrale»; «un’immagine con pretenziosità erotiche, che la ritrae da tergo, a schiena nuda e con la toga reclinata all’altezza dei fianchi». Sono queste le foto social citate nelle motivazioni ricostruite dal Corriere della Sera. In particolare, la foto della toga ai fianchi con la schiena nuda è «all'apice della gravità deontologica perché la toga è simbolo in qualche misura, laicamente, sacrale per l’avvocatura. Un dispregio ancora più accentuato in rapporto all’avvocatura femminile»