Lady Gucci, arriva la prima sentenza sulla gestione dell'eredità. Daniele Pizzi, ex amministratore di sostegno di Patrizia Reggiani - vedova dell'imprenditore della moda Maurizio Gucci, condannata a 26 anni per l'omicidio del marito nel '95 - e Maria Angela Stimoli, presunta «prestanome», hanno patteggiato. Oggi il gip di Milano Guido Salvini ha ratificato i patteggiamenti a 2 anni, pena sospesa, per Pizzi per le accuse di peculato, circonvenzione di incapace e corruzione, e a 10 mesi e 20 giorni, pena sospesa, per Maria Angela Stimoli per il reato di circonvenzione di incapace. Ad entrambi sono state concesse attenuanti anche perché hanno collaborato alle indagini e, in particolare, Pizzi ha «risarcito» il danno.
La sentenza
Nella sentenza il giudice ricostruisce ciò che era emerso dalle indagini del Nucleo di polizia economico finanziaria della Gdf di Milano, coordinate dall'aggiunto Tiziana Siciliano e dal pm Michela Bordieri, ossia quel «progetto di approfittamento e di dirottamento» con «veste apparentemente legale» dell'ingente «patrimonio della Reggiani», abusando della sua «infermità» psichica.
L'indagine
Le figlie di Patrizia Reggiani, che hanno fatto scattare l'indagine con la loro denuncia, nelle dichiarazioni ai pm, come sottolinea il giudice nella sentenza, hanno posto «in evidenza lo stato di influenzabilità della madre da parte di terzi», richiamando «quanto già acclarato per il delitto» Gucci «a proposito del ruolo» di Pina Auriemma, la sedicente maga e «stretta confidente» di Reggiani, che per l'omicidio fu condannata a 19 anni. Le due sorelle, in particolare, hanno sostenuto che la madre «fosse al pari di allora oggetto di manipolazione e plagio da parte della Canò» e che quest'ultima, «la nuova 'assistente personalè della Reggiani», stava «replicando lo schema che le figlie avevano già visto e vissuto a seguito del rapporto della madre con Pina Auriemma».
Più consulenze agli atti hanno accertato l'incapacità psichica di Reggiani, «manipolabile in un modo ben percepibile da chi entra in contatto con lei», come scrive il giudice. Così Canò, «a seguito della frequentazione carceraria» e dopo «il decesso della signora Silvana Barbieri», ha fissato «la propria dimora presso l'abitazione della Reggiani portandovi addirittura la figlia Sabrina». In più, si legge ancora, «beneficiava addirittura di un regolare stipendio con qualifica di assistente personale e assumeva, di fatto, anche la gestione economica e patrimoniale di casa Reggiani operando liberamente sui conti correnti». Canò, inoltre, aveva «collocato nell'abitazione numerosi registratori per ascoltare le conversazioni della Reggiani durante la sua assenza»
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