Milano, uccise farmacista con crodino al cianuro: confermati 20 anni a imprenditore

Gianfranco Bona mentre porta il crodino al cianuro (Ansa)
Gianfranco Bona mentre porta il crodino al cianuro (Ansa)
Mercoledì 5 Febbraio 2014, 20:43 - Ultimo agg. 20:44
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MILANO - La Corte d'Assise d'Appello di Milano ha confermato i 20 anni di carcere inflitti in primo grado a Gianfranco Bona, piccolo imprenditore che nell'aprile 2012 uccise avvelenandolo con un Crodino al cianuro il farmacista Luigi Fontana. Confermato anche il versamento di una provvisionale di 163 mila euro a ciascuna delle due figlie e 150 mila euro alla moglie, parti civili nel processo con rito abbreviato. Fontana, allora 64 anni, moglie e due figlie - assistite dagli avvocati Nadia Alecci e Daniele - e titolare di una farmacia in via delle Forze Armate a Milano, era morto il 15 aprile di due anni fa, dopo essere stato ricoverato per giorni a causa dell'avvelenamento da parte di Bona, 51 anni, titolare di una piccola azienda di trasporti e suo amico.



Bona, in carcere e reo confesso, era accusato anche del tentato omicidio di Francesco Bruno, magazziniere che lavorava per il farmacista. Il 2 aprile di quell'anno, infatti, come tante altre volte, all'ora dell'aperitivo l'imprenditore aveva portato in farmacia un Crodino per Fontana e un caffè per Bruno, presi in un bar vicino, ma stavolta allungati con dosi di cianuro, che l'omicida teneva da tre mesi dentro il suo furgone. Solo il magazziniere si era accorto subito, dopo aver portato la tazzina alla bocca, che qualcosa non andava ed era riuscito a salvarsi. Oggi in aula la difesa di Bona si è vista respingere la richiesta del riconoscimento di tre attenuanti, tra cui quella della provocazione, e di una scriminante e cioè quella dell'aver agito per legittima difesa per via di un presunto rapporto «usurario» tra vittima e carnefice.



Come aveva già spiegato l'imputato durante il processo di primo grado, il farmacista gli avrebbe «prestato soldi con tassi usurari, io non riuscivo a restituirli e lui mi ha minacciato dicendomi 'ti veniamo a prendere a casà».
Una versione ritenuta credibile e che la scorsa estate aveva portato il gup a riconoscere, per l'incensuratezza dell'imputato e per il prestito a tasso di usura (che comunque non giustifica il delitto), le attenuanti generiche equivalenti alle aggravanti contestate per l'uso del veleno e, con l'aggiunta dello sconto di pena per la scelta del rito, alla condanna a 20 anni di carcere.