Si torna a parlare della strage di Erba. Uno dei protagonisti, condannato all’ergastolo, ha raccontato in una lunga intervista a Cronaca Vera i presunti retroscena del suo arresto. Si tratta di Olindo Romano, 61 anni, condannato insieme alla moglie Rosa Bazzi all’ergastolo in tutti e tre i gradi di giudizio, e rinchiuso nel carcere di Opera per la strage di Erba. L’11 dicembre del 2006, in via Armando Diaz, a Erba, in provincia di Como, morirono 4 persone: Raffaella Castagna, il figlioletto Youssef, Paola Galli e Valeria Cherubini.
Colpevole o innocente?
Inizialmente Olindo, vicino di casa delle vittime, aveva confessato, sperando di ottenere sconti di pena e di lasciare la moglie in libertà, ma da anni entrambi dichiarano di essere innocenti.
La confessione estorta
Olindo prova a fare chiarezza su alcuni aspetti che in questi anni hanno gettato ombre su di lui e la moglie, come quella volta in cui si diceva che sospettasse di essere intercettato e che avesse smontato il citofono alla ricerca di microspie. In realtà, il netturbino spiega di non avere mai pensato di essere spiato, tant’è che in un’intercettazione mai coinvolta nel processo, spiegava a una vicina che il citofono era rotto e che dopo averlo comunicato ai carabinieri, questi ultimi lo avevano riparato. “Quando ti dissero che Frigerio ti aveva riconosciuto e che sull’auto c’era una traccia di sangue, tu cos’hai pensato?”, chiede il giornalista. “Quando mi dissero che Frigerio mi aveva riconosciuto, era nella fase del “lavaggio del cervello” della confessione. Non ci potevo credere, ma mi convincevano che tanto non avrei potuto difendermi e che per salvare almeno Rosa dovevo fare la confessione. Non ho mai pensato che Frigerio ce l’avesse con me. Anche a lui ‘lavaggio del cervello’”. L’uomo si riferisce ai carabinieri che lo hanno interrogato. Olindo, infatti, dal 2008 sostiene che gli uomini dell’Arma lo hanno convinto a confessare, promettendogli una liberazione immediata e il ricongiungimento con la moglie.
E ancora, il cronista chiede come gli fossero venute in mente le risposte da dare quando gli avevano chiesto come avesse colpito una vittima. Questa la sua risposta: “Più o meno si sapeva che erano state accoltellate e colpite con un oggetto. Non ho raccontato nulla di eccezionale”. Durante la confessione, il netturbino aveva rivelato agli inquirenti il luogo in cui avrebbe gettato i vestiti che indossava durante l’omicidio. Rivelazione, questa, che se davvero fosse innocente, sarebbe stata inventata. “Era il posto più credibile, perché lavorando come netturbino sapevo i posti dove si potevano buttare tra lì e Como”.
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