Ponte Morandi, l'ex ad Mion: «Nel 2010 seppi dei rischi però non feci niente. L'opera aveva difetti di progettazione»

L’ex ad di Edizione al processo: «Emerse che l’opera aveva difetti di progettazione»

Ponte Morandi, l'ex ad Mion: «Nel 2010 seppi che era a rischio crollo»
Ponte Morandi, l'ex ad Mion: «Nel 2010 seppi che era a rischio crollo»
Lunedì 22 Maggio 2023, 17:03 - Ultimo agg. 23 Maggio, 09:54
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«Avrei dovuto fare casino, non l’ho fatto. Non mi è venuto, forse temevo il posto di lavoro. Tante cose non abbiamo fatto da stupidi». In molti erano a conoscenza del rischio che il ponte Morandi di Genova potesse crollare, già 8 anni prima del disastro in cui morirono 43 persone.

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La rivelazione arriva dalla voce di uno dei partecipanti a una riunione del 2010, in cui «emerse - ha spiegato Gianni Mion, ex amministratore delegato di Edizione, la holding della famiglia Benetton - che il ponte aveva un difetto originario di progettazione e che creava perplessità tra i tecnici sul fatto che potesse restare su».

Una circostanza venuta alla luce solo ieri, nell’aula del tribunale di Genova dove è in corso il processo che conta 58 imputati accusati, a vario titolo, di omicidio colposo plurimo, omicidio stradale, crollo doloso, omissione di atti d’ufficio, attentato alla sicurezza dei trasporti, falso e omissione dolosa di dispositivi di sicurezza sui luoghi di lavoro. La strage del 14 agosto 2018, insomma, forse si sarebbe potuta evitare.


LA RIUNIONE
A quella riunione partecipavano anche l’ad di Aspi, Giovanni Castellucci, e il direttore generale Riccardo Mollo, e, secondo il ricordo di Mion, anche tecnici e dirigenti della società Spea. Secondo il manager, per quelle criticità emerse, nessuno dei presenti alla riunione avrebbe sollevato obiezioni, tranne lui: «Chiesi se ci fosse qualcuno che certificasse la sicurezza e Mollo mi rispose: “Ce l’autocertifichiamo”. Nessuno però pensava che sarebbe crollato e ci furono date rassicurazioni. Non dissi nulla, però mi preoccupai. La situazione era semplice: o si chiudeva o te lo certificava un esterno. Non ho fatto nulla, ed è il mio grande rammarico». Per l’ex amministratore delegato di Edizione, che «la stabilità dell’opera venisse autocertificata era una c..., una stupidaggine e mi aveva fatto impressione». Però non fece nulla. «Dopo quella riunione avrei dovuto fare casino, ma non l’ho fatto - ha confessato Mion - Forse perché tenevo al mio posto di lavoro. È andata così, nessuno ha fatto nulla e provo dispiacere».  Dopo queste rivelazioni, l’avvocato Giorgio Perroni, che difende l’ex direttore del Primo tronco di Autostrade, Riccardo Rigacci, ha chiesto di sospendere l’audizione del manager e di indagarlo. I giudici, però, hanno continuato ad ascoltarlo, precisando che si riservano sulla richiesta avanzata dal legale di Rigacci.


LE INTERCETTAZIONI
Già nel marzo 2021 erano emerse, in alcune intercettazioni, le preoccupazioni di Mion. «Noi per molti anni le manutenzioni non le abbiamo fatte in misura costante, nonostante la vetustà aumentasse», diceva il manager a Ermanno Boffa, marito di Sabrina Benetton, dimessasi dal cda di Atlantia (la holding cui faceva capo direttamente Aspi) ufficialmente «per un disagio personale». Le perplessità erano nate proprio durante quel famoso vertice del gruppo: «Noi sapevamo che il Morandi aveva un problema di progettazione, lo sapevamo. A quella riunione c’erano proprio tutti: i consiglieri di amministrazione di Atlantia, gli amministratori delegati, il direttore generale, il management e loro hanno spiegato che quel ponte aveva una peculiarità di progettazione che lo rendeva molto complicato. Un ponte molto originale ma problematico». L’ingegnere Mauro Tommasini, consulente tramite due società esterne del concessionario, che aveva effettuato le “prove riflettometriche” sul Morandi, ha precisato in aula: «Dal 2013 in poi comunicammo che il deterioramento dei cavi posizionati all’interno dei sostegni portanti era in estensione-progressione, lo ribadimmo ancora nel 2015 e poi nel 2017».


I FAMILIARI DELLE VITTIME
Parole che hanno riaperto la ferita dei familiari delle vittime. «Una persona con il suo ruolo non poteva stare zitta - commenta Egle Possetti, la presidente del Comitato ricordo vittime - È tutto inaccettabile. Speriamo solo che qualcuno paghi e sia d’esempio affinché non vi siano più situazioni del genere in Italia. Queste frasi di pentimento sono tardive, se già da prima era a conoscenza della situazione doveva denunciare. Anche lo Stato tuttavia ha mancato gravemente in termini di controlli». 

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