Gianfranco Paglia e la strage di Mogadiscio: «Dopo 30 anni è ancora viva la memoria dei caduti»

L'intervista al tenente colonnello Ruolo d'onore

Gianfranco Paglia
Gianfranco Paglia
di Mariagiovanna Capone
Domenica 2 Luglio 2023, 12:00 - Ultimo agg. 3 Luglio, 07:57
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Il 2 luglio 1993, il comando italiano presente in Somalia con l'Operazione Ibis II venne coinvolto negli scontri del Check Point Pasta a Mogadiscio che costarono la vita ad Andrea Millevoi, Stefano Paolicchi e Pasquale Baccaro, insigniti poi di medaglie d'oro al Valor militare alla memoria, mentre 31 furono i feriti. Tra loro Gianfranco Paglia, all'epoca sottotenente poco più che ventenne al comando del plotone dei paracadutisti del 186esimo reggimento della Folgore, oggi Tenente colonnello Ruolo d'onore. Quelle pallottole lo resero tetraplegico, ma in questi trent'anni Paglia non ha mai smesso di tenere vivo il ricordo dei caduti, affinché il loro sacrificio non sia mai dimenticato. Tre nuove tappe di questo costante impegno, venerdì scorso con la Folgore nella base Millevoi di Shama, in Libano, sede del Comando della Joint Task Force SW, oggi nella Basilica di Santa Maria degli Angeli a Roma, e poi martedì nella Sala dei Cimeli del Sacrario delle Bandiere al Vittoriano, con la mostra fotografica «Somalia 1993 Check Point Pasta», curata dalla Fondazione Ente Editoriale per l'Esercito.

Tenente Colonnello Paglia, quanto sono importanti queste commemorazioni?
«Sono trascorsi 30 anni, è tanto tempo se ci pensiamo, ma indipendentemente da quello che è accaduto a me, ci sono stati tre caduti e non dimenticare il loro sacrificio è fondamentale. È ciò che ci rende un Paese leale e onesto nei confronti dei propri servitori.

Nessuno di loro tre è stato mai dimenticato, alla messa di domani (oggi, ndr) arriveranno circa 60 Diavoli Neri da tutta Italia e lo facciamo tutti gli anni, non solo per il trentennale. Tuttavia c'è una punta di amarezza di queste commemorazioni».

Riguardo cosa?
«Per i 30 anni avrei voluto posare una rosa per i tre ragazzi sul luogo dell'agguato. Per motivi di sicurezza ancora non è possibile, i terroristi di Shabaab stanno alzando la testa e al momento non è possibile superare l'avamposto di sicurezza all'aeroporto».

Quei momenti drammatici affollano ancora i suoi incubi?
«Non sono mai stati incubi, li ho ripassati in rassegna a mente desta pensando a come avrei dovuto agire, perché il dispiacere più grande è stato solo quello di non aver riportato a casa tutti. Il resto lo metti in conto, perché abbiamo scelto di indossare un'uniforme con la consapevolezza che questo significa anche sacrificio. Non siano migliori di altri, siamo diversi perché crediamo in questi valori».

Ha un ricordo dei tre caduti?
«Andrea Millevoi e Stefano Paolicchi non facevano parte della mia Compagnia, non li conoscevo. Pasquale Baccaro invece sì, era della Compagnia Diavoli Neri. Io ero uno dei comandanti di plotone e lo ricordo come un ragazzo semplice ma molto motivato. Trasmetteva gioia, sorrideva sempre, aveva sempre una parola positiva per tutta la Compagnia. Ricordo distintamente ogni attimo trascorso insieme».

È ancora in contatto con la sua famiglia?
«Sì, con il fratello, l'unico dei familiari rimasto in vita. Ma anche con le famiglie di Millevoi e Paolicchi. La mamma di Andrea è madrina di mia figlia e io ho fatto da testimone di nozze al fratello Marco. La mamma di Stefano, che si è spenta tre settimane fa, era straordinaria e ogni volta che mi vedeva mi dava un bacio e diceva: mi ricordi mio figlio. Con tutti loro ho stretto un rapporto particolare, molto forte e sincero, di affetto e stima. Quando Marco mi ha scelto come testimone ne sono stato orgoglioso ma non ho potuto non pensare che lì ci doveva essere il fratello e non io».

Dopo essere stato deputato, è diventato consigliere al ministero della Difesa: sempre confermato dal 2013 a oggi, dal ministro Mario Mauro al ministro Guido Crosetto. Quando è scoppiata la guerra in Ucraina cosa ha pensato?
«Che dovevamo svegliarci prima, perché il conflitto era lì davanti ai nostri occhi già da molti anni. E poi che è triste pensare che l'Europa si sia unita maggiormente con una guerra all'orizzonte. Avremmo dovuto farlo molto prima».

Lei è tra quelli che pensano agli Stati Uniti d'Europa?
«Non credo di essere l'unico, l'obiettivo dovrebbe essere questo, altrimenti l'Ue non avrebbe senso. Però capisco anche le difficoltà. Per adesso bisogna sperare che la guerra in Ucraina sia gestita nel miglior modo possibile per tutti». 

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