Dl dignità, lo scambio Lega-M5S
che danneggia soltanto il Sud

Dl dignità, lo scambio Lega-M5S che danneggia soltanto il Sud
di Marco Esposito
Venerdì 3 Agosto 2018, 09:27 - Ultimo agg. 4 Agosto, 13:09
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Ingoiare il boccone amaro del decreto Dignità per portare a casa qualcosa che vale cento volte di più: l'autonomia sprint di Veneto e Lombardia. Lo «scambio» corre di bocca in bocca tra i parlamentari leghisti del Nord e tra gli esponenti territoriali della Confindustria. Uno scambio che ha come vittima sacrificale il Sud, il quale non guadagna dal decreto Dignità e ha tanto da perdere dall'autonomia differenziata.

Non tutti sono convinti dello «scambio» e il presidente di Confindustria Veneto, Matteo Zoppas, ufficialmente sostiene che il decreto Dignità voluto da Luigi Di Maio sia «un cappio al collo» e che le correzioni votate dalla Camera siano «insufficienti». E però i parlamentari veneti del Carroccio spiegano che il decreto Dignità è «nettamente migliorato» e che non va letto da solo, ma il testo è «un primo passo da coniugare con altri provvedimenti» tra i quali spicca l'autonomia, che Matteo Salvini vorrebbe portare in Consiglio dei ministri «entro l'estate», cioè a settembre.

Una fretta che si spiega con la necessità di mettere in sicurezza un provvedimento a costo zero per le casse statali, al contrario della flat tax; mentre i Cinquestelle hanno come provvedimento-simbolo il Reddito di cittadinanza, costoso e difficile da mettere in pratica quasi quanto la flat tax. Nel caso in cui la maggioranza implodesse e si tornasse al voto, sarà più credibile la campagna elettorale di chi ha realizzato almeno un punto fondamentale del programma: l'autonomia è perfetta per tale ruolo. E allora nelle ultime settimane, come confermano imprenditori veneti e fonti vicine a Confindustria, l'ordine partito dai vertici leghisti in direzione dei deputati e dei consiglieri regionali lombardi e veneti è stato chiaro: abbassare i toni dell'opposizione sulla stretta ai contratti a termine e sui voucher perché è in arrivo il preziosissimo tesoro dell'autonomia.

 

Veneto e Lombardia guidano un treno con otto vagoni: l'elenco di Regioni che hanno la discussione in corso con il ministro per l'Autonomia Erika Stefani a fine luglio si è allungato a Piemonte, Liguria, Toscana, Marche e Umbria, cui si aggiunge l'Emilia Romagna. Anche Lazio e Campania hanno avanzato richieste formali, ma sono finora rimaste inevase.

Perché l'autonomia differenziata è pericolosa per il Sud? Perché, in base alle bozze di accordo, quando si trasferisce una materia dallo Stato alla Regione solo il primo anno vale la regola saggia che i soldi che spendeva il governo centrale passano in pari misura alla Regione. Dal secondo anno, quella cifra si ricalcola in aumento sia contando com'è giusto i bisogni reali dei territori (quanti studenti devo portare a scuola? quale protezione civile è necessaria? che beni culturali e ambientali devo tutelare?) sia aggiungendo come criterio extra il gettito dei tributi maturati sul territorio regionale in proporzione al totale nazionale. I tributi, cioè le tasse, le pagano soprattutto i ricchi, per cui il meccanismo garantirà alle aree agiate più soldi e quindi maggiori servizi per istruzione, protezione civile, beni culturali e ambientali e un'altra ventina di materie.

L'OBIETTIVO
E non è finita: il furto al Sud è agevole perché manca la legge che definisce i Lep, cioè i «livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali che devono essere garantiti su tutto il territorio nazionale» previsti in Costituzione. Se non c'è il livello minimo, quando sposti soldi da un territorio all'altro non sai se hai intaccato un diritto fondamentale.

Per l'istruzione, la voce principale tra le 22 in ballo, lo Stato spende oggi 5,5 miliardi in Lombardia e 2,9 miliardi in Veneto. Il primo anno - il 2019? - le due Regioni riceveranno esattamente quella cifra e dovranno dimostrare di essere più efficienti del governo. Missione non scontata vista la prova mediocre che molte Regioni hanno dato nella sanità (si pensi agli scandali che punteggiano la storia del servizio sanitario lombardo). Ma l'obiettivo di Veneto, Lombardia e delle altre Regioni del Nord non è dimostrare di essere efficienti bensì ottenere senza fatica più soldi di quanti ne arrivino oggi, a parità di servizi da garantire ai loro cittadini. Gli 8,4 miliardi dell'istruzione, quindi, non saranno conteggiati in base al numero di studenti lombardi e veneti (altrimenti sempre 8,4 miliardi restano) ma in proporzione alla ricchezza media dei genitori di quegli studenti, in modo che la somma salga gradualmente per cinque anni verso 9 e poi 10, 11, 12, 13 miliardi, anche se il numero di studenti dovesse diminuire.

LA BICAMERALE
Ovviamente i soldi in più destinati a Lombardia e Veneto (ma anche Emilia Romagna e poi Piemonte, Liguria e così via) verrebbero sottratti alla spesa nazionale per l'istruzione in Lazio, Campania, Calabria, Puglia, Calabria, Basilicata e anche nelle Regioni a statuto speciale Sicilia e Sardegna. E ciò si ripeterebbe per ciascuna delle materie in via di devoluzione, per usare una vecchia parola d'ordine leghista.

Ma il Nord con lo scambio dignità-autonomia non rischia di fare i conti senza l'oste? La scommessa è che sul Mezzogiorno continui l'indifferenza, come ha anche ieri denunciato su questo giornale Gianfranco Viesti. Del resto l'attenzione su tali temi è spesso blanda, perché a torto sono considerate questioni tecniche. A ciò si aggiunge che non è ancora costituita la Bicamerale sul federalismo fiscale (ma il 31 luglio sono stati indicati i componenti). Inoltre non pochi parlamentari meridionali appaiono convinti che la vicenda dei Lep non porti titoli sui giornali e che l'autonomia del Veneto o della Lombardia sia una vicenda che riguardi solo quei territori, senza conseguenze sul Sud. In ultimo: il caldo d'agosto non favorisce il risveglio. Finora.
 

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