«Fake news? Mai soldi da M5s e Lega, sono soltanto un amante del web»: parla l'imprenditore di Afragola

Marco Mignogna
Marco Mignogna
di Valentino Di Giacomo
Martedì 28 Novembre 2017, 23:07 - Ultimo agg. 30 Novembre, 06:43
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«Mi hanno fatto passare per il mostro del web, per un asservito a potenze straniere, ma io non ho mai preso un euro da partiti o organizzazioni politiche. Il mio è un hobby. Ho solo la colpa di aver aperto dei siti internet, alcuni di questi hanno avuto successo, ed è per questo che lo staff di Salvini mi ha contattato per collaborare alla creazione del suo blog, ma l’ho fatto da simpatizzante e senza beccare un soldo». Marco Mignogna è il web designer di Afragola venuto alla ribalta della stampa nazionale e internazionale negli ultimi giorni in seguito ad un articolo del New York Times. Si è scoperto che il 42enne campano ha creato una galassia di siti prima afferenti al Movimento 5 Stelle e poi alla Lega. L’ipotesi circolata sui media è che dietro quest’opera di propaganda dei due maggiori partiti anti-sistema potessero esserci influenze straniere, ma anche l’uso di fake news e titoli diffusi in maniera eclatante per attirare antipatie verso gli altri partiti ed in particolare contro il Pd.

Ha creato una blogosfera di siti web sia per fare propaganda per il Movimento di Grillo e poi con quello di Salvini. Tutto normale secondo lei?
«Io sono un libero cittadino che non ha mai avuto una tessera di partito e, ad esempio, non ho mai avuto alcun rapporto diretto con il Movimento 5 Stelle, non sono mai stato iscritto neppure alle loro piattaforme web, anzi con i leader grillini non mi sono scambiato neppure messaggi sui social. Sono un appassionato di informatica e di marketing e quindi ho iniziato a creare quasi per esperimento dei siti che altro non sono che aggregatori di notizie. Prendo articoli da altri siti web, citando la fonte, ma cambio il titolo per dargli maggiore interesse».

Si chiama clickbaiting. Quel traffico generato sui suoi siti porta certamente un guadagno grazie ai banner dei motori di ricerca. Quanto ricava in questo modo?
«Non si tratta di cifre astronomiche e in ogni caso mi permettono di arrotondare per mantenere la mia famiglia in maniera dignitosa senza lussi».

Però ha usato gli stessi codici Adsense di Google, che servono per monetizzare le visite ricevute, per il blog di propaganda del Movimento e per quello di Noi con Salvini.
«È stata una svista non aver collocato il codice Adsense corretto nel sito di Noi con Salvini. E da lì è nato tutto. Ma sa quanto hanno guadagnato su quel sito i banner? In due anni esattamente 68 euro, cifre da capogiro (ride)».


 

Ma lei è simpatizzante di Grillo o di Salvini?
«Fino a qualche anno fa mi piaceva Grillo, poi però la loro posizione contro l’euro si è affievolita e così mi sono ritrovato in tutto e per tutto con il pensiero di Salvini, che ho anche incontrato due anni fa ad un evento a Salerno. Mi hanno chiamato per collaborare alla creazione del loro sito, perché aveva avuto molto successo l’apertura della mia pagina Sud con Salvini. Ho lasciato la gestione dei siti dei 5 Stelle ad altri pur essendone ancora il proprietario. Io controllo solo che non vengano postati contenuti offensivi o falsi. Ad esempio ciò che hanno fatto altri siti web, i quali hanno pubblicato la foto della Boschi a un funerale dicendo che fosse quello Riina. Una cosa del genere io non avrei mai potuto farla. Cerco di tenermi comunque in certi limiti».

Però di notizie false e offensive sui suoi siti si trovano eccome. Ad esempio, dal suo sito dedicato al M5s, una consigliera di Forza Italia indagata viene trasformata in esponente del Pd.
«Me lo sta dicendo lei, non me n’ero accorto. L’errore può scappare, me ne scuso e quella notizia la farò togliere, ma è una notizia che è stata ripresa da altri siti, come a volte accade».

Una notizia falsa condivisa migliaia di volte però può diventare vera. Non crede che questo metodo inquini il dibattito democratico?
«È vero, ma non mi sento responsabile per questo, lo fanno milioni di siti e non sono il solo. Se pubblichiamo notizie che parlano alla pancia dei cittadini, questo è anche lo specchio di un Paese arrabbiato e che non è democratico. Infatti il mio sogno è andare via dall’Italia, credo di avere tecniche e competenze superiori, vorrei andare in America, perché lì un casino del genere non sarebbe mai successo».

Intanto però è finito persino sul New York Times, la cosa le ha creato più orgoglio o imbarazzo?
«Entrambe, ma non mi fanno paura le false accuse che ho subito. Hanno scritto persino che sarei al soldo dei russi, quando invece io ho perfino creato un sito per Trump. Costruisco solo siti per un target specifico di persone, quelli che vanno bene li coltivo e gli altri li lascio stare. Sono a posto con la mia coscienza, non merito di essere finito nel tritacarne mediatico come avvenuto in queste ore».

Ha mai pensato di prendere la tessera da giornalista?
«Non credo che un tesserino sia un lasciapassare di responsabilità, lo dico con tutto il rispetto per chi fa il giornalista. Comunque la maggior parte delle notizie che pubblico provengono da altre testate, io cambio solo i titoli per dare un effetto maggiore, in modo che i lettori siano maggiormente invogliati a leggere. Anzi, spesso i titoli sono gli stessi delle altre testate online».

Questi siti creati li ritiene un hobby, ma lei come arriva alla fine del mese?
«Per ora non ho un lavoro fisso, ho da parte un gruzzoletto dei miei vecchi impieghi per Fastweb e Wind.

Ho moglie e tre figli e ci aiutano un po’ anche i nostri genitori. Ora però vorrei chiedere solo il rispetto della mia privacy a tutti i suoi colleghi. Ho accettato questa intervista con la speranza che da domani non sarò costretto a tenere i miei figli in casa, perché davanti al portone ci sono i giornalisti. Sono una persona normale. Le fake news sono quelle circolate sul mio conto, non quelle dei miei siti».

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