Fondi europei per le armi, appello di 14 Paesi alla Bei. Gentiloni: «Bisogna sbrigarsi»

Michel: «La Russia è una grave minaccia, si deve passare a un’economia di guerra»

Fondi europei per le armi, appello di 14 Paesi alla Bei. Gentiloni: «Bisogna sbrigarsi»
Fondi europei per le armi, appello di 14 Paesi alla Bei. Gentiloni: «Bisogna sbrigarsi»
di Gabriele Rosana
Martedì 19 Marzo 2024, 00:01 - Ultimo agg. 13:59
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La prospettiva di altri sei anni di Vladimir Putin al Cremlino e i report su una guerra che dall’Ucraina rischia di allargarsi al resto del continente risvegliano la Bella Addormentata. Il nome in codice fiabesco è quello che l’Europa della difesa si è guadagnata sul campo, prigioniera com’è stata finora di titubanze che ne hanno impedito il salto di qualità. Ma il vento sta cambiando, perlomeno nelle intenzioni di Bruxelles e di un ampio fronte di capitali, unite nel convincimento che una nuova corsa alle armi è cominciata. E che, quindi, anche la Banca europea per gli investimenti (la Bei con sede a Lussemburgo, una sorta di Cassa e depositi e prestiti Ue) debba adesso indossare l’elmetto e finanziare progetti per la difesa: il pressing è oggetto di una lettera firmata ieri da 14 Paesi, tra cui Italia, Francia e Germania, e che sarà discussa al summit dei leader al via giovedì a Bruxelles. «Se vogliamo la pace dobbiamo prepararci alla guerra», ha scritto intanto, prendendo in prestato un’efficace locuzione latina, il presidente del Consiglio europeo Charles Michel in un editoriale pubblicato ieri pomeriggio su varie testate online. «La Russia rappresenta una grave minaccia militare per il nostro continente europeo e per la sicurezza globale. Se non reagiamo in modo appropriato a livello Ue e se non diamo all’Ucraina un aiuto sufficiente per fermarla, saremo noi i prossimi», ha aggiunto Michel, convinto che l’Europa debba «passare alla modalità “economia di guerra”», assumendosi in prima persona «la responsabilità della nostra sicurezza collettiva», un compito che nel dopoguerra è stato tradizionalmente appaltato agli Stati Uniti, ma che ora è alla mercé di un probabile ritorno di Donald Trump e del suo isolazionismo alla Casa Bianca. Insomma, che l’Ue si debba dare una mossa non lo mette in dubbio più nessuno, neppure ai vertici delle istituzioni Ue. 

Come farlo, però, continua a essere un classico rompicapo brussellese e un campo di battaglia per i governi dei Ventisette, visto che tira in ballo il portafoglio di ciascuno.

Il commissario all’Economia Paolo Gentiloni non ha perso occasione, nelle ultime settimane, per vedere nella difesa Ue un assist per fare nuovamente debito comune europeo come durante la pandemia, ed è tornato a ripeterlo ieri, parlando ai giovani del “Next Milan Forum”: per la difesa comune, «servono finanziamenti comuni». Il problema, ha spiegato l’ex premier, «non è il ciclo politico a Bruxelles, ma avere una strategia industriale per la difesa» dotata di fondi adeguati per porre rimedio al vero problema, cioè «non tanto l’ammontare della spesa militare, ma la frammentazione degli acquisti (di armamenti, ndr), che fondamentalmente vengono fatti all’estero». Diagnosi amara supportata dai numeri: nel periodo 2022-2023, le commesse militari «sono state effettuate fuori dall’Europa per l’80%, di cui il 60% negli Usa; per il 20% in Paesi terzi e per l’ultimo 20% nell’Ue», ha proseguito Gentiloni. Per questo, la lettera congiunta firmata da 14 leader Ue coordinata dalla Finlandia, che l’ha inviata a Michel e alla presidente della Bei Nadia Calviño domenica sera - nelle stesse ore in cui al di là del confine arrivavano i numeri a valanga che hanno assegnato a Putin un quinto mandato -, è un altro tassello chiave, e infatti molte delle sue richieste si sono già tradotte senza esitazioni nell’ultima bozza di conclusioni del summit, visionata dal Messaggero: «Dobbiamo ampliare la definizione dei progetti “dual use” (cioè che hanno impieghi non solo militari, ma anche civili, ad esempio i satelliti aerospaziali, ndr) e rivedere ciò che è, ad oggi, escluso» dai finanziamenti, si legge nella missiva. Certo, rimane la cautela per valutare l’impatto che questo avrebbe sul profilo di rischio di una Bei che, sui mercati, è forte di un rating da tripla A, ma i leader sono convinti che un suo ruolo più marcato avrebbe un effetto a cascata, portando a un parallelo aumento «degli investimenti privati in sicurezza e difesa», perché «diventati più accettabili per i mercati, gli investitori privati e le banche». Sullo sfondo, c’è il piano per la difesa che è stato presentato dalla Commissione a inizio marzo, e che prova a tradurre nel comparto militare la lezione appresa con gli acquisti congiunti di vaccini e gas: Bruxelles non negozierà direttamente i contratti di fornitura di missili e munizioni, ma coordinerà consorzi messi in piedi dagli Stati Ue che lo vorranno, e che potranno così beneficiare di meccanismi di favore come l’esenzione dell’Iva. Entro il 2030, Bruxelles vuole che l’approvvigionamento militare nell’Ue sia realizzato almeno per il 40% attraverso appalti comuni (nel 2022 questa percentuale è stata del 18%) e che riguardi come minimo per metà equipaggiamenti prodotti all’interno dei confini europei.

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