Ballabio: «Primo embrione umano in laboratorio: è la svolta»

Il genetista: «Cellule staminali, la via per combattere il cancro e rallentare l'invecchiamento»

Andrea Ballabio
Andrea Ballabio
di Ettore Mautone
Venerdì 16 Giugno 2023, 07:39 - Ultimo agg. 17 Giugno, 07:10
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Dalla coltivazione in laboratorio, di cellule staminali di tessuti umani adulti, ricercatori britannici hanno ottenuto pre-embrioni geneticamente identici all'individuo di provenienza. Secondo gli studiosi può segnare un passo decisivo verso l'acquisizione di nuove straordinarie abilità nel pilotare le cellule adulte per riportarle a uno stadio embrionale.

Tralasciando considerazioni di ordine etico, relative a una possibilità riproduttiva dell'uomo che eluda la necessità di ovuli o spermatozoi, questo traguardo - annunciato da Magdalena Zernicka-Goetz, dell'Università di Cambridge e del California Institute of Technology, all'incontro annuale dell'International Society for Stem Cell Research a Boston - getta le basi per curare gravi malattie, riprogrammare le cellule tumorali, rallentare e controllare i processi di invecchiamento. Ne parliamo con Andrea Ballabio, illustre scienziato, fondatore e direttore dell'Istituto Telethon di Genetica e Medicina (Tigem) di Pozzuoli e professore ordinario di Genetica Medica all'Università Fedeerico II di Napoli.

È un nuovo traguardo nelle manipolazioni genetiche in vitro?
«Più che interventi sulla genetica questi risultati sono stati ottenuti affinando le tecniche, già in uso, per la coltivazione delle cellule staminali presenti in tutti i tessuti umani di un adulto, sangue compreso dove svolgono un ruolo nei naturali processi riparativi».

Per esempio?
«La riparazione di un osso dopo una frattura».

Finora si pensava che queste cellule fossero limitate nella loro espressione, ossia che fossero multipotenti mentre a quanto pare possono ritornare alla totipotenza di un embrione?
«Sì, è così: la premessa è che un organismo adulto è formato da cellule altamente differenziate che derivano da un programma che si svolge dopo la fusione delle cellule germinali di un uomo e di una donna.

Le cellule adulte svolgono solo alcune funzioni. Quelle staminali conservano una potenzialità differenziativa emettendo segnali riconosciuti dai tessuti a cui appartengono. Con alcuni codici molecolari le si può tuttavia indurre a tornare a un livello pre-embrionale».

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Come si fa?
«Agendo su fattori esterni che modificano il microambiente e che mandano segnali ai geni di queste cellule che li ricevono e modificano l'assetto cellulare».

Una sorta di transformer?
«Direi piuttosto un dialogo fatto di domande e di risposte che inducono nuovi comportamenti. Fino a modificare le cellule staminali in pre-embrionali e viceversa».

Se questi embrioni fossero spinti avanti nel loro differenziamento svilupperebbero un gemello dell'organismo di partenza?
«In teoria sì, ma siamo ancora lontani da questa possibilità e soprattutto questi studi hanno finalità e applicazioni diverse».

Quali?
«In ambito clinico e di ricerca si schiudono enormi possibilità».

Quali?
«Certamente la cura di malattie dello sviluppo embrionario ma anche quelle degenerative dell'adulto sia interagendo direttamente con i tessuti danneggiati da traumi o malattie sia, infine, coltivando le cellule per sostituire del tutto un organo danneggiato costruendo in vitro il "pezzo di ricambio" che essendo in questo caso geneticamente identico al ricevente non darebbe alcun tipo di rigetto».

Saranno utili anche per curare in maniera definitiva il cancro?
«Probabilmente sì».

Con quale meccanismo?
«Un tumore non è altro che la perdita dello stato differenziato di alcune cellule che per influenze esterne o casualmente attivano geni e programmi che hanno preceduto l'acquisizione dello stato differenziato adulto. Le cellule tumorali si "immortalizzano", ossia si riproducono indefinitamente senza più rispondere alla normale regolazione. Padroneggiando i meccanismi di differenziamento, accendendo e spegnendo a piacimento alcuni geni chiave, potremo riprogrammare queste cellule e indurle a un nuovo stadio stabile differenziato che caratterizza i tessuti sani».

Anche l'invecchiamento obbedisce a un programma geneticamente prestabilito: si potrà rallentare e "curare" anche la senescenza?
«Effettivamente in teoria si potrebbe intervenire anche sul naturale processo che, nel corso del tempo, porta da un lato all'accorciamento dei telomeri, ossia i punti di ancoraggio dei cromosomi umani e dall'altro a una fotocopia sempre più sbiadita dei geni che sintetizzano le proteine che rappresentano i mattoni dell'organismo umano generando acciacchi e malattie e dunque la vecchiaia».

Come si otterrebbe questo risultato?
«Agendo sui segnali che mantengono vitali nel tempo le cellule staminali. Ognuno di noi ha una propria staminalità e con un semplice esame del sangue, nemmeno troppo costoso, è possibile comprendere il livello di queste cellule deputate alla manutenzione dei tessuti nel tempo. Tuttavia anche le cellule staminali invecchiano e fanno errori. Con le nuove tecniche sviluppate potremmo mantenere giovani più a lungo le nostre cellule staminali».

Un'evoluzione che potrebbe spaventare.
«Tutto evolve e non bisogna avere paura dell'innovazione. Quando ho iniziato la mia carriera si lavorava con la macchina da scrivere. Poi sono arrivati i computer».

Ora l'intelligenza artificiale disegna scenari impensabili: l'evoluzione dell'uomo saranno le macchine?
«No ma le macchine consentiranno di fare cose che altrimenti non potremmo mai raggiungere. Sono il prodotto del nostro pensiero, del nostro cervello. È impossibile frenare l'evoluzione disegnata dal nostro pensiero e con le macchine esploreremo l'universo. Tutto questo è affascinante e stimolante più che essere inquietante come molti pensano».

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