CrimiNapoli/5: Cutolo e il massacro in carcere a Poggioreale nella notte del terremoto

CrimiNapoli/5: Cutolo e il massacro in carcere a Poggioreale nella notte del terremoto
di Gigi Di Fiore
Venerdì 12 Novembre 2021, 11:31 - Ultimo agg. 25 Marzo, 10:55
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Il 23 novembre saranno 41 anni. Il giorno del terremoto del 1980. Si trasformò anche in una delle pagine più sanguinose nella violenta guerra di camorra tra la Nuova camorra organizzata (Nco) di Raffaele Cutolo e i clan contrapposti della Nuova famiglia (Nf). Fino a quel momento, il bollettino di morti ammazzati era stato senza precedenti: 62 nel 1978 fino a 235 nel 1981. In cinque anni, dal 1977 al 1983, la conta totale degli ammazzati sarebbe arrivata a 1500 tra affiliati e simpatizzanti nell’una e nell’altra parte. In quella guerra sanguinosa, si aggiunsero le vendette spietate nel carcere di Poggioreale, nella notte del 23 novembre. Scene tremende, che ha provato a raccontare anche Giuseppe Tornatore nel suo film “Il camorrista” ispirato all’omonimo libro di Joe Marrazzo.

QUELLA NOTTE

Alle 19,34 cominciarono a tremare anche le celle dei detenuti. Il carcere di Poggioreale, dove per la guerra di camorra in corso l’obbligo era separare e rinchiudere in padiglioni differenti gli affiliati della Nco rispetto a quelli della Nf, divenne una bolgia. Ogni camorrista detenuto doveva dichiarare all’ingresso a Poggioreale l’appartenenza a uno o all’altro gruppo, per aveva assegnato la cella giusta, in grado di difenderlo da aggressioni. Ma quella notte saltò tutto, non ci furono più freni, né limiti. I detenuti si fecero massa feroce e, tra le urla e le bestemmie, forzarono porte e cancelli delle celle. Usarono le brande come pesanti arieti e si ammassarono nei cortili interni. Gli agenti penitenziari fecero quello che potevano, in un caos indescrivibile e pericoloso. Vennero presidiati il “cancello d’ufficio” e gli ingressi laterali dei padiglioni. Dalla caserma accorsero rinforzi per gli agenti. Ma la situazione era drammatica: solo una quarantina di agenti dovevano controllare 1900 detenuti indemoniati e impauriti dal terremoto.

Le celle furono aperte, si scatenò l’inferno tra cutoliani e anticutoliani non più divisi fisicamente. Fu l’occasione per l’esplosione di rancori e vendetti tra i due gruppi. Cutolo, impassibile e calmo, indicò ai suoi affiliati i primi bersagli. E fu massacro, in un carcere completamente nelle mani dei detenuti. Un appuntato degli agenti, Saverio Pedalino, sparò dei colpi di pistola in aria per intimidire i gruppi più accaniti.

Riuscì a evitare almeno l’evasione di massa. Ma non fu possibile impedire gli agguati e gli uomini trucidati con violenza e rabbia.

Cutolo venne visto parlare con alcuni dei suoi uomini. Molti anni dopo, Antonio Mattone raccolse i parziali ricordi dell'anziano capoclan su quella notte per inserirli nel suo libro "La vendetta del boss", in cui ha approfondito la realtà del carcere di Poggioreale in quel periodo: “Stavo compilando un vaglia di 250mila lire per una bambina, figlia di una tunisina con cui avevo avuto una storia nella latitanza ad Albanella, quando venne la prima scossa. Poi ne arrivò una seconda ancora più terrificante”. L’allusione alla “seconda scossa” si riferiva alla furia a coltellate che si scatenò su indicazione del capo della Nco. Entrati nel deposito dei muratori, gruppi di detenuti ne prelevarono pali di ferro e arnesi vari che si trasformarono in armi mortali. Ovunque si devastava e si distruggeva. Una furia di difficile contenimento, che spinse gli agenti penitenziari a chiedere il rinforzo di squadre di celerini dalla Questura. Per affrontare quella pericolosa emergenza, si precipitarono da casa, su richiesta del direttore Francesco Grossi, i vice direttori e funzionari Giuseppe Salvia, Alfredo Stendardo e Aldo Vitelli.

SPIETATEZZA

Le cellule fotoelettriche illuminavano l’esterno del vecchio carcere, gli agenti avevano le armi con i caricatori innescati, furono accesi fumogeni che spargevano una densa cortina di nebbia rossa. Era una scena da bolgia dantesca, con le camionette della polizia in circolo attorno alle mura di Poggioreale e il suono di raffiche di mitra che gli agenti sparavano in alto a scopo intimidatorio. Decine e decine di parenti dei detenuti si affollarono lì fuori, in cerca di notizie sui loro familiari in carcere. Non si capì più nulla. Ma il peggio esplose in pochi attimi.

Il primo a essere trucidato fu Antonio Palmieri, 28 anni, detto “Tonino’o muscio”, ex Nco passato con il clan di Antonio Bardellino in provincia di Caserta, orrendamente ucciso nel centro clinico del carcere. Il suo assassino fu Salvatore Esposito, 30 anni, originario di Marigliano, implacabile esecutore di sentenze di morte, che 4 anni prima aveva ucciso, sempre nel reparto clinico del carcere, Mico Tripodo boss della ‘ndrangheta calabrese, su richiesta delle famiglie De Stefano e Mammolito. Un killer della Nco, che non si tirava mai indietro. Poi fu il turno di Giuseppe Clemente, 24 anni, nella cella 73 del reparto Genova, colpito con oltre 100 coltellate. Il corpo fu trascinato in una coperta dinanzi la cella di Cutolo, che lo colpì alla gola. Fu “punito” per aver rapinato un negoziante protetto dalla Nco. Il cadavere fu trovato nel cortile principale del carcere. Infine, nel padiglione Firenze venne raggiunto il 27enne Michele Casillo. Lo massacrarono non meno di dieci affiliati della Nco. Tutti armati di coltelli e altri arnesi appuntiti. Nel parapiglia e nelle scene di sangue senza freno, otto detenuti rimasero feriti. A loro, nel bollettino finale, si aggiunse anche il medico di guardia del carcere, Umberto Racioppoli, che inutilmente aveva cercato di impedire la strage. Fu colpito al palmo della mano da un coltello e subito dopo venne pure schiaffeggiato. Perse gli occhiali e cadde a terra. Fu salvato dall’infermiere Antonio Amodio, che lo trascinò via.

Per la gravità della situazione, arrivarono di rinforzo anche gli allievi della scuola militare di Portici. Ma, impauriti, servirono a poco. Una notte di incertezza e terrore, in ore drammatiche per l’intera Campania legate al terremoto su cui le notizie erano ancora incerte e frammentarie. Non c’erano i social, né Internet, né i telefonini. Le informazioni arrivavano tardi e a sprazzi.

Nel carcere, la forte scossa aveva bloccato il cancello d’ingresso ai padiglioni nel lato a sinistra. Si era incastrato anche il varco del “cancello d’ufficio”, sbloccato poi da un fabbro chiamato d’urgenza. Proprio contro quel varco, a mezzanotte fu scagliato il corpo senza vita di Michele Casillo, orrendamente sgozzato con 86 coltellate e mutilato.

 

LA CENA

«Il giorno dopo andammo a raccogliere i morti, vedemmo scene di totale devastazione e un silenzio assoluto» ha raccontato l’agente penitenziario Emilio Fattorello. Qualcuno, nel timore di essere ucciso, si era nascosto nei bidoni della spazzatura. Il cadavere di Antonio Palmieri aveva il cranio fracassato da una bombola d’ossigeno sporca di sangue. Salvatore Esposito e altri affiliati della Nco lo avevano prima accoltellato, poi avevano infierito sul cadavere girandogli al contrario le braccia e le gambe. Era l’orrenda punizione per il “tradimento” del passaggio con Bardellino, ma anche per l’assassinio di Fortunato Zampino del clan Maisto, di cui era stato esecutore. Su di lui, furono sparati anche colpi di pistola.

 

Da film dell’orrore quello che avvenne subito dopo le “esecuzioni”. Nella cella di Cutolo, alcuni detenuti “inservienti” apparecchiarono una tavola per cenare. In quell’occasione, il capoclan decise la nuova suddivisione delle zone di controllo in provincia di Napoli. Ci sarebbero voluti due giorni per riportare l’intero carcere sotto il controllo degli agenti. Non era stata una rivolta, ma la confusione fu occasione di esecuzioni mortali che dimostrarono il potere di Cutolo e dei suoi affiliati nel carcere napoletano. Ben 500 detenuti furono trasferiti in altre carceri, anche per i pesanti danni subiti nelle strutture interne di Poggioreale dove la luce mancò per una settimana. Fu sorprendente e indicativo che nelle successive perquisizioni furono trovati solo solo 12 coltelli. La strage del 23 novembre 1980 dimostrò che Poggioreale era ancora di più sotto il controllo armato di Cutolo e dei suoi uomini. E solo 5 mesi dopo ne sarebbe stato vittima il vice direttore Giuseppe Salvia.

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